Rieccoci ai consigli delle Filmlovers!
Siamo ormai immersi nei colori autunnali, quale evento contraddistingue l'autunno se non la vendemmia? Ciascuna di noi vi propone un film dedicato a questa inebriante bevanda, dalla commedia al documentario. Buona visione! *degustazione!
L.R. consiglia Racconto d'autunno (Éric Rohmer, 1998)
Magali, la protagonista di Racconto d’autunno, è una vedova che ha deciso di vivere un’esistenza solitaria immersa nel suo podere, occupandosi di viticoltura. La fidanzata di suo figlio, Rosine, e la sua amica Isabelle, entrambe preoccupate per la vedova che sembra non voler rifarsi una vita, decidono di trovarle un compagno. Isabelle inserisce a suo nome un annuncio nel giornale per trovare un uomo adatto a lei, mentre la giovane Rosine vuole farle conoscere un suo ex professore. Entrambe le donne, all’oscuro delle intenzioni dell’altra, organizzano l’incontro in occasione del matrimonio della figlia di Isabelle. Nonostante le varie incomprensioni con l’uomo che ha risposto all’annuncio, Gerard, sembra esserci la possibilità di una storia in futuro. Una pellicola dai toni caldi e delicati che si staglia, non a caso, sullo sfondo del vigneto di Magali. L’autunno, assimilabile all’età matura ma ancora fertile della protagonista, è una stagione in grado di donare ricchi frutti, come appunto l’uva. Questo frutto è quasi pronto per diventare vino, simbolo legato al dio Bacco, all’estasi e al piacere. Una metafora bucolica che lascia presupporre una rinascita per Magali, in quanto l’amore può arrivare in ogni stagione della vita.
Francesca Guarnieri consiglia Sideways - in viaggio con Jack (Alexander Payne, 2004)
Sideways- In viaggio con Jack, film del 2004, candidato a 5 premi Oscar, vinse quello per la Miglior sceneggiatura non originale. Il film racconta il viaggio di due amici, uno dei due, Jack (Thomas Haden Church) dovrebbe sposarsi, e l'amico Miles (Paul Giamatti), essendo un enofilo, gli organizza un addio al celibato visitando varie cantine. I due amici incontrano due donne (Sandra Oh e Virginia Madsen) e il loro viaggio cambia.
Il film mi è piaciuto perchè è un percorso su vari temi, sull'amicizia e su come essa possa essere mutabile, su come le persone in base alle situazioni possano adattarsi, sui sogni, sulla vita, sulle grandi o piccole domande, del tipo “a che punto siamo?”. Poi c'è il vino, il protagonista assoluto insieme ai vigneti, alle cantine della California. Grande protagonista del film il Pinot Grigio.
Dopo aver visto il film, sono uscita a far aperitivo, così l'ho assaggiato, preferisco il prosecco.
Laura Perrotti consiglia Il profumo del mosto selvatico (Alfonso Arau, 1995)
Remake di Quattro passi tra le nuvole di Alessandro Blasetti, il profumo del mosto selvatico è una storia d'amore ambientata tra le vigne della Napa Valley.
Paul Sutton (Keanu Reeves) è un reduce della seconda Guerra Mondiale che, tornato a casa, scopre che la moglie ha un altro uomo. Decide così di riprendere la sua attività di rappresentante di cioccolatini e viaggiare per gli Stati Uniti. Su un treno diretto a Sacramento incontra Victoria Aragon (Aitana Sanchez-Gijon), la ragazza sta tornando nella tenuta della sua famiglia, Las Nubes (le nuvole), incinta ma senza un marito. Paul, di fronte alla disperazione della donna, le propone di spacciarsi per suo marito per qualche giorno e poi andare via. I due arrivano a Las Nubes dove sta per iniziare la vendemmia, e Paul non riesce ad andare via, per il calore della famiglia di lei e soprattutto perché i due sono attratti l'uno dall'altra. Il cuore del film è il rito della vendemmia che coinvolge i due protagonisti con il suo potere afrodisiaco e l'amore di una famiglia verso le proprie radici (in questo caso rappresentate proprio dalla vigna).
Questo film è un po' come il vino, vecchiotto ma sempre affascinante, sensuale ma non volgare.
Lo vedrei se non altro per Giancarlo Giannini nei panni di un messicano irascibile ma sempre di gran classe o per un giovanissimo Keanu Reeves.
Sonia Madini consiglia Sour Grapes (Reuben Atlas, Jerry Rothwell, 2016)
Mi sento di consigliare questo interessante documentario. Tratta l'incredibile storia di un insospettabile ragazzo indonesiano, Rudy Kurniawan, appassionato di vini che inizia a farsi notare nelle maggiori case d'asta d'america, spendendo decine di migliaia di dollari in bottiglie rare, spingendo il mercato ad alzare il prezzo. Il suo carattere amichevole, generoso, lo aiuta ad addentrarsi nel mondo dei collezionisti e in quello dei degustatori, dove si stappano bottiglie pagate anche 10000 dollari. Rudy non parla spesso del suo passato, della sua famiglia di origine e di come disponga di queste somme di denaro. Nonostante tutto ha una schiera di amici fedeli a cui consiglia qualche bottiglia da acquistare. Peccato che qualcuno inizi ad insospettirsi: sul mercato iniziano a comparire troppo spesso bottiglie contraffate, con etichette e tappi non originali. Un produttore di vino della Borgogna vola negli Stati Uniti per difendere le sue etichette, scontrandosi con la difficoltà nell'affrontare i responsabili. Sono pochissimi infatti i ricchi collezionisti a voler ammettere di avere decine, o centinaia, di bottiglie contraffatte: meglio far finta di nulla e godersi la "preziosa cantina".
Se queste righe vi hanno incuriosito potete trovare Sour Grapes disponibile sulla piattaforma Netflix.
venerdì 29 settembre 2017
mercoledì 27 settembre 2017
Focus on Christopher Nolan: Interstellar
Interstellar è un viaggio nello Spazio siderale, i nostri eroi partono alla ricerca di un nuovo pianeta, su cui gli esseri umani possono trasferirsi a causa della “morte” della Terra.
Il gioco di Interstellar sta nel manipolare lo spazio-tempo, questo viaggiare tra le galassie e le diverse dimensioni temporali, questo continuo “ritorno al futuro”, porta gli astronauti a lasciare i propri affetti alla ricerca di un futuro migliore per tutta l’Umanità. Lo scorrere del tempo non ha lo stesso valore su i vari pianeti o sull’astronave, ci sono delle unità di misura che si dilatano o si ristringono come le costruzioni mentali di Inception.
Il protagonista di Interstellar è Joseph Cooper (Matthew McConaughey), un astronauta convertito all’agricoltura. Christopher Nolan è un autore a suo agio con i personaggi maschili ma non maschilista.
Al centro del cinema del regista inglese ci sono sempre dei personaggi maschili come Bruce Wayne/Batman o i due o tre maghi di The Prestige e per questo aspetto della sua estetica lo accomuno a autori come Micheal Mann e Martin Scorsese.
Nonostante ciò le sue eroine sono donne fantastiche: la giovane detective Ellie Blur di Insonmia interpretata da Hilary Swank, la bella ladra senza un futuro, Selina Kyle/Catwoman interpretata da Anne Hathaway e non per ultime Amelia (Anne Hathaway) e Murphy (Jessica Chastain), l’astronauta e la scienziata.
Alla fine i due sguardi che ci entrano nel cuore sono quello sereno di Murphy anziana e nel letto dell’ospedale circondata dalla famiglia e dal padre; e quello di Amelia sola su un nuovo pianeta anche lei serena.
Interstellar è un film con l’anima femminile e come sempre Christopher Nolan ci stupisce.
Ecco perché amo questo regista, perché è narratore e un inventore d’immagini.
lunedì 25 settembre 2017
Focus on Christopher Nolan: Inception (2010)
Sono veramente in pochi a non aver visto il labirintico Inception di Nolan, ma è bene ribadire i pregi e la complessità di questa pellicola.
Il protagonista Dom Cobb (un Leonardo DiCaprio in gran forma) è un ladro, ma molto particolare: è infatti in grado di estrarre i più reconditi segreti dell'inconscio durante il sogno, pratica molto apprezzata nell'ambito dello spionaggio industriale. L'illegalità delle sue pratiche l'hanno portato ad allontanarsi dalla famiglia, ma grazie ad un ultimo ingaggio potrebbe riavere ciò che ha perduto. Questa volta però dovrà cimentarsi insieme alla sua squadra nell'inception, l'impianatare un'idea nella mente, non il solito furto insomma.
Questa pratica impone di addentrarsi nei sogni dei personaggi con un meccanismo a matrioska, vivendo sogni dentro ad altri sogni. Più si va in profondità e più il tempo si dilata.
Questa struttura calza perfettamente con la passione di Nolan per il montaggio intricato, inevitabilemente accompagnato dallo sguardo perplesso di qualche spettatore. Nonostante questo il film fila senza strafare, ed è perfettamente leggibile, magari con l'aiuto di una seconda visione.
La trama fantascientifica è accompagnata da effetti visivi spettacolari, elemento fondamentale per vivere di persona le vicende e gli ambienti dei sogni impossibili, condita da scene action che non fanno calare mai l'attenzione.
Durante la visione i diversi piani onirici e la realtà si confondono: questo perchè Nolan dona al sogno un'apparenza materica, vivida, in cui si hanno leggi fisiche proprio come nello stato di veglia.
Il film riesce ad amalgamare diversi generi, oltre alla fantascienza e all'action assistiamo al dramma del protagonista, intrappolato nel perpetuo ricordo della moglie (Marion Cotillard): una presenza amata ma allo stesso tempo ingombrante e distruttiva.
Il finale è aperto ma perfetto, non di quelli che ti fanno balzare dalla poltrona in un impeto d'ira e frustrazione.
sabato 23 settembre 2017
L'inganno (Sofia Coppola, 2017)
Il trailer dice molto, ma non rivela nulla. Durante la guerra di Secessione, poco lontano da un collegio femminile abitato da due donne adulte e cinque adolescenti tutte del Sud; una delle studentesse uscita alla ricerca di funghi ritorna con un soldato confederato ferito gravemente. La direttrice della scuola, Miss Martha (Nicole Kidman), cura la ferita del soldato e non lo consegna all’esercito e ai soldati secessionisti che si vedono di sfuggita. La guerra è una presenza sonora continua nel sottofondo fatto di bombe, ma non è la protagonista.
La presenza di quest’unico uomo lentamente inizia a “sedurre” le donne di questa scuola fino a esplodere lui stesso come fuochi d’artificio, rompe l’equilibrio di questa comunità femminile autonoma. L’isolamento cercato da Miss Martha per proteggere le ragazze funziona contro la guerra, ma non contro “l’altra metà della mela”; questo soldato le smuove dal loro torpore.
Nicole Kidman, Kirsten Dunst e la giovane Elle Fanning mi hanno stregata per motivi differenti. La prima, il “premio Oscar” è molto generosa con le giovani attrici con cui lavora in questo film, la sua interpretazione ha donato a Miss Martha equilibrio e risolutezza; la seconda è la bellezza divenuta adulta di Intervista con il Vampiro (Neil Jordan, 1994); la più giovane delle tre, Elle, è una bellissima Lolita del Sud, con i capelli in disordine, un po’ribelle e annoiata, mi ricorda molto Rossella O’Hara, ingenua e presuntuosa.
giovedì 21 settembre 2017
La Tartaruga Rossa – Immersi nella natura
La Tartaruga Rossa,
lungometraggio animato che ha ricevuto il Premio Speciale Un Certain Regard al Festival di Cannes, è una fiaba delicata e
commovente che parla dell’uomo e della natura. Il protagonista è un naufrago
che trova miracolosamente salvezza in un’isola tropicale deserta. L’unica
compagnia è quella degli uccelli e dei granchi che si aggirano nella spiaggia.
Sfruttando tronchi e vegetazione, come ogni buon naufrago, costruisce una
zattera e tenta di allontanarsi da quel posto, ma raggiunta una certa distanza,
una forza misteriosa manda a pezzi la sua imbarcazione, costringendolo a
tornare a riva a nuoto. La cosa si ripete più volte finché, accanto ai rottami
dell’ultima zattera andata in frantumi, immerso nelle acque oceaniche, l’uomo
nota una grande tartaruga rossa. Un giorno questo animale maestoso si presenta sulla
spiaggia dell’isola rompendo la monotonia di quel luogo. L’uomo, solo e
disperato, riversa la sua frustrazione sull’animale, condannandolo a morte, a
quanto pare. Il senso di colpa pervade il naufrago, che tenta disperatamente di
rianimare la creatura senza ottenere alcun risultato. Perse le speranze, però,
dall’involucro della tartaruga esce una bellissima donna. Tra i due si instaura
subito un feeling e lei diventa la sua compagna di vita e madre del loro
figlio.
Non una parola viene pronunciata durante il film. Le
emozioni, i sentimenti e i legami sono magistralmente resi dalle immagini, dai
colori, dai movimenti e dai suoni dell’acqua, del vento, della terra e dei
pochi animali che fanno capolino. Non c’è mai un vero silenzio, bensì la
rigogliosa melodia della vita. La storia è cadenzata dai lenti ritmi della
natura, dalle piogge tropicali, dalle esplorazioni in acqua, dal bisogno di procacciarsi
il cibo, dal riposo. E anche di fronte a eventi devastanti come uno tsunami,
l’isola riemerge scalfita, ma ancora integra, così come i tre corpi del nucleo
familiare che, curate le ferite, sembrano tornare alla normalità, eccezion
fatta per il figlio. Il giovane ragazzo infatti, da sempre ha percepito un
profondo legame con le tartarughe. A seguito dello tsunami, dopo aver salvato
il padre finito al largo, cede al richiamo che ha dentro e rivolge un ultimo
addio ai genitori per andarsene a nuoto verso l’ignoto, accompagnato da alcune
tartarughe. Una metafora della totale immersione nella natura, dell’umano che
si fonde con il creato, che forse va in cerca delle proprie origini. Un’immersione
dunque in un’acqua materna, un liquido amniotico in cui egli si dirige, alla scoperta
del principio da cui è arrivata sua madre. Si tratta di un viaggio di ritorno,
possibile però solo per chi ha vissuto un’esistenza in totale armonia con il
mondo primigenio.
Una storia magica, in cui l’uomo accettando di rinunciare
alla sua vecchia esistenza, allontanandosi in via definitiva dalla società e
abbandonandosi a un’esistenza primitiva, è accolto e custodito da Madre Natura.
Attraverso le spoglie rugose di una tartaruga, animale antico che spunta dagli
abissi insondabili, luogo misterioso e inaccessibile all’essere umano, sorge
una sorta di dea madre che accompagna l’uomo fino alla fine della sua
esistenza, prendendosene cura fino al suo ultimo respiro, per poi fare ritorno
alle acque primigenie. Una storia che fa riflettere sul nostro rapporto con la
natura, sull’essenza della vita che si può saggiare solo quando si è lontani
dalla civiltà.
Titolo originale: La tortue
rouge ; Regia: Michaël Dudok de Wit;
Anno: 2016; Paese di produzione: Francia - Belgio; Produzione: Arte France Cinéma, Prima Linea Productions, Studio
Ghibli, Why Not Productions, Wild Bunch; Durata:
80 min.
mercoledì 20 settembre 2017
Focus on Christopher Nolan: La trilogia del Cavaliere Oscuro (Batman Begins, The Dark Knight e The Dark Knight Rises)
Batman è il supereroe senza superpoteri più amato al mondo; di conseguenza ogni volta che inizia la lavorazione di un film a lui dedicato o viene scelto un nuovo attore per interpretarlo i fan di tutto il mondo sono in subbuglio. Le pellicole di Nolan non sono le più amate tra i fan del Cavaliere Oscuro, anzi c’è chi considera solo Batman Begins, un film su Batman. Per me, il regista ha introdotto un elemento nuovo: la salvezza di Bruce Wayne.
La trilogia del Cavaliere Oscuro di
Christopher Nolan è una trilogia autoconclusiva composta da Batman Begins (2005), The Dark Knight (2008) e The Dark Knight Rises (2012). Il regista
inglese non è un lettore di fumetti; l’iconicità e l’immaginario di riferimento
da cui ha potuto attingere sono una fonte immensa e, a mio parare, adatta alle
sue capacità narrative e trova nell’attore Christian Bale, l’interprete
perfetto. L'iperrealismo di Nolan elimina tutti o molti elementi fantasy e
fantascientifici delle storie di Batman, lasciando la tecnologia avanzata, i
soldi e la filantropa.
I film sono un working progress dalla
nascità alla morte di Batman. Batman
Begins narra come, dopo la morte dei genitori, Bruce Wayne è diventato
Batman, la nascita; The Dark Knight è
l’evoluzione: come le decisioni non vengano prese da Bruce Wayne ma dal
Cavaliere Oscuro; The Dark Knight Rises è
la morte di Batman, Bruce Wayne decide di vivere la sua vita lasciando una
Gotham salvata per l’ultima volta con il sacrificio finale del Crociato
Mascherato.
I nemici usati per costruire la trama
principale sono Ra’s Al Ghul e la figlia Talia, e la nemesi di Batman, il
Joker; mentre gli altri “cattivi” sono usati per depistare le tracce (Lo Spaventapasseri, i vari mafiosi di Gotham City, Bane e Catwoman). Doppia
identità, finzioni, rapporti malsani; il bene e il male non sono definiti, i
buoni e i cattivi non sono facilmente identificabili. Tutto molto Nolan.
Il mio episodio preferito, probabilmente
il meno riuscito della saga e il “meno Batman” è The Dark Knight Rises. Bruce passa sette anni isolato dal mondo
finchè nella sua vita irrompe una bella ladra che ruba le sue impronte
digitali, la collana di perle della madre e il suo cuore. Il gioco tra il gatto e
il topo che corre tra i due, questa sottile tensione etica, morale e sessuale si risolve nel finale; quel bacio tra l’uomo pipistrello e
la donna gatto mi hanno conquistato. Pochi istanti dopo Batman muore e viene
eretto un monumento in suo onore.
In questo film, due donne in modo
diverso hanno risvegliato il cuore di Bruce Wayne/Batman: un gioco tra una
“buona e bella” e una “cattiva e fatale”.
lunedì 18 settembre 2017
Gatta Cenerentola, dove vanno a finire le fiabe?
Amo la fiaba di Cenerentola fin da
quando ero bambina, sarà per il principe, sarà per il ballo o semplicemente per
l’abito e le scarpe di cristallo (noi donne amiamo le scarpe più di molte altre
cose). Alla notizia di un film d’animazione italiano ispirato alla fiaba di
Basile, scritta ancor prima di quella dei fratelli Grimm, ho deciso che avrei
fatto di tutto per poterlo vedere al cinema.
Chi pensa che Gatta Cenerentola sia
la semplice trasposizione in chiave moderna della novella di Giambattista Basile
o una nuova versione del cartone animato Disney, si troverà davanti qualcosa
che di fiabesco non ha davvero nulla.
Cosa rimane di La gatta Cenerentola
nel film?
Gatta Cenerentola di Ivan
Cappiello, Dario Sansone, Marino Guarnieri e Alessandro Rak, mantiene il cuore
della fiaba e soprattutto l’ambientazione napoletana.
Vittorio Basile, armatore ed
inventore, ha costruito il Polo della Tecnologia e della Memoria, una nave
immensa, ormeggiata nel porto di Napoli, un luogo dove, grazie a degli
ologrammi si riesce a far convivere presente e passato. Durante il suo
matrimonio con la bella Angelica Carannante, Vincenzo viene ucciso dall'amante
della donna, Salvatore Lo Giusto. Angelica prende sotto la sua ala Mia, la
figlia di Vittorio ed allontana tutto l’equipaggio della nave compreso Primo
Gemito O Principe, la guardia che si prendeva cura della bambina.
Quindici anni dopo Lo giusto è
diventato "O re", e sta tornando a Napoli per sposarsi con Angelica che, nel
frattempo, ha ridotto in schiavitù la povera Mia, che è diventata Gatta
Cenerentola, e gestisce con le sue sei figlie la nave che è diventata un locale
a luci rosse.
Primo Gemito, ora entrato nella
polizia sta indagando sui traffici illegali di Lo Giusto e sulla nave i destini
dei personaggi si ritroveranno proprio come quindici anni prima.
In Gatta Cenerentola ritroviamo, in
qualche modo, tutti gli elementi chiave della fiaba, Cenerentola, la matrigna e
le sorellastre (ben sei) il principe e anche la scarpetta. Li ritroviamo però
in un intreccio più vicino a Gomorra che ad una fiaba.
Le vicende sono infatti ancorate
alle spinose questioni della Napoli contemporanea, la malavita, l’inquinamento e
i problemi sociali (basti pensare che Cenerentola si ritrova a quasi diciotto
anni praticamente analfabeta e muta). Gli autori hanno voluto richiamare l’attenzione
del pubblico verso questi temi attualizzando i tanti archetipi che popolano la fiaba.
Oltre alle tematiche forti, il film
è pervaso dall’atmosfera partenopea, l’uso del dialetto napoletano, della
musica e della canzone partenopea, e vi è perfino il richiamo al teatro di De
Filippo - la figura di Angelica ricorda molto quella di Filumena Marturano.
Vi è inoltre nel film una poeticità
incarnata da Basile, nome che richiama all’autore della novella originale, che
si definisce un sognatore e che ha costruito un luogo dove la memoria diventa realtà
(se pur virtuale). Nella nave di Basile, infatti, i luoghi hanno una memoria,
gli ologrammi riportano davanti agli occhi dei personaggi i ricordi del loro
passato e influenzano le loro azioni nel presente. La convivenza nel film della dimensione del ricordo con quella del presente dà così al film una connotazione fortemente atemporale.
Per Gatta Cenerentola la tecnica d’animazione
mescola la bidimensionalità degli sfondi ad acquerello che ritraggono Napoli e
la tridimensionalità dei personaggi che hanno tratti definiti e poco
naturalistici. Ne risulta un’atmosfera irreale che ben incarna lo spirito del
film.
Il cast di doppiatori è di gran
pregio, Alessandro Gassman (Primo Gemito), Mariano Rigillo (Vincenzo Basile),
Renato Carpetieri (Il commissario), Massimiliano Gallo (Salvatore Lo Giusto) e
Annamaria Calzone (Angelica Carannante) danno voce ai personaggi che popolano
la nave.
P.S. Prima del film è stato
proiettato il corto Simposio di suino in Re Minore, un originale e decisamente
divertente omaggio in salsa partenopea al regista giapponese Hayao Miyazaky.
domenica 17 settembre 2017
Focus on Christopher Nolan: The Prestige (2006)
Eccoci al terzo appuntamento con il focus su Christopher Nolan.
Il film The Prestige si concentra sul rapporto fra due colleghi illusionisti, dettato da un'ossessiva e cieca ambizione. Robert Angier (Hugh Jackman), illusionista elegante e raffinato, si dispera per la tragica morte della moglie durante un numero di magia. Accusa il collega Alfred Borden (Christian Bale) per l'incidente e brama vendetta.
La sceneggiatura, scritta dal regista con il fratello Jonathan, è caratterizzata dai salti temporali (vedi Memento) e segue i diari dei due protagonisti (ognuno possiede quello dell'altro), diventando una sorta di racconto epistolare, proprio come il romanzo di Christopher Priest da cui è tratta la storia. La trama è suddivisa in tre parti, eco dei tre atti di cui è composto un numero di magia (la promessa, la svolta, il prestigio), elencati nell'incipit da Mr. Cutter. Quest'ultimo è un personaggio fondamentale: interpretato da Michael Caine, Mr. Cutter è un inventore di trucchi, aiuta e sostiene Angier nella ricerca del numero di magia perfetto e riesce a offrire un punto di vista esterno alla vicenda: si intuisce che la sua vicinanza ad Angier è dettata dalla preoccupazione per un marito che ha perso la moglie, non giustificando di certo le sue azioni senza scrupoli.
Robert, nome di scena "Il Grande Dantòn", è disposto a superare il rivale con ogni mezzo. Dopo aver assistito ad un numero di magia strabiliante eseguito da Borden fa di tutto per conoscerne il segreto e ricrearlo. Le ipotesi che avanza Mr. Cutter non gli bastano e arriva ad interpellare lo scienziato Nicola Tesla, pur di riuscire nell'impresa.
Il geniale inventore è incarnato perfettamente da David Bowie, circondato da un'aura oscura e ambigua, restituendo una via di mezzo fra l'uomo di scienza e l'uomo di magia.
Vedere il film significa addentrarsi in un'intricata rete di segreti che si dipana pian piano davanti agli occhi dello spettatore. Il grigio della Londra vittoriana aiuta ad immergersi in questo mondo fatto di strabilianti trucchi, sotto cui si celano segreti altrettanto incredibili.
venerdì 15 settembre 2017
Focus on Christopher Nolan: Insomnia (2002)
Non sono fan di Insomnia, non mi piace e per la prima volta scrivo di un film che non amo di uno dei registi che adoro.
La pellicola è il remake americano dell’omonimo film di Erik Skjoldbjærg del 1997, che per qualche anno ha rimbalzato tra vari registi fino a arrivare a Nolan.
Il remake sposta l’ambientazione dalle regioni scandinave all’Alaska; i due territori sono accumunati dalla vicinanza al Polo Nord che causa in nel periodo estivo il fenomeno del sole a mezzanotte, cioè il giorno composto da luce e buio non esiste, esistono solo 24 ore continue di luce solare.
Il sole di mezzanotte disturba e può causare insonnia nelle persone non abituate ad un fenomeno del genere; gli effetti della privazione di sonno legata al sole di mezzanotte mi ha attratto a vedere questo film, che fa parte dei primi girati da Nolan.
Insomnia parla delle indagini di un detective, Will Dormer (Al Pacino), inviato in Alaska per indagare sul misterioso omicidio di una ragazza.
La luce è sempre presente ed è uno dei personaggi del film, o meglio, è determinante sulla stabilità di Dormer, come la luce che governa le nostre giornate influenza negativamente le attività e le relazioni. La mancanza di sonno disturba e falsa la sua percezione della realtà tanto da perdere l’equilibrio e la sua capacità di gestire gli incubi e gli orrori quotidiani. Insomnia è un film su rapporti non equilibrati.
Sono pochissimi i passaggi lasciati da completare allo spettatore (cosa poco da Nolan).
Tutti i misteri sono svelati, non ci sono “sorprese” (cosa pochissimo da Nolan).
L’ambientazione del film in un territorio di boschi e ghiacci come quello dell’Alaska crea la necessità di lavorare con luce naturale e molto chiara (cosa molto da Nolan) mentre la fotografia di questo film è fatta di sangue, di colori e di luce troppo caldi, mi porta a pensare alla presenza episodica di questi elementi.
Concludo: “Questo film non c’entra nulla con Nolan e la sua estetica!”
mercoledì 13 settembre 2017
13 buoni motivi per vedere (oppure no) “Tredici”
Avete mai sentito
parlare di Tredici? Se ci state leggendo, probabilmente sì. Tredici è una serie
televisiva prodotta da Netflix, tratta dal libro omonimo di Jay Asher. La serie
racconta (più o meno) questo: Hannah Baker (Katherine Langofrd) si suicida e
lascia alle persone che l’hanno portata a questo disperato gesto, delle
musicassette dove elenca i 13 motivi che l'hanno spinta a fare il grande salto.
L'altro protagonista è Clay (Dylan Minnette), colui che per 13 puntate
ascolterà le cassette. È il suo turno!
Dopo aver discusso
tanto, abbiamo deciso di fare il “verso” alla serie. Non eravamo del tutto
convinte, non sempre tutto è bianco o nero. Inizialmente eravamo schierate
così: Francesca “non mi piacerà mai, ne parlano troppo!”, Laura: “Non è male,
mi è piaciuta!”. Così ci siamo confrontate per più di una settimana e alla fine
abbiamo individuato punti deboli e punti forti. Siamo entrambe d'accordo che,
nonostante tutto la serie fa discutere!
Francesca e Laura P.
COSA CI PIACE
- È perfetto per il bingewatching (in
un weekend in cui non sai che fare lo vedi tutto)
- Lancia un messaggio forte al pubblico
degli adolescenti di oggi. Il bullismo, non va sottovalutato. Tutte le
nostre azioni, anche se per noi non hanno peso, hanno delle conseguenze.
- Formalmente è fatto molto bene. Non è
la solita serie con le luci smarmellate e il montaggio alternato.
- L'ossessionante presenza dell'oggetto
"musicassetta".
- Le cassette; abbiamo perso la
bellezza del registrare noi la musica che ci piace. Spotify lo fa per noi,
Hanna scopre che può lasciare il suo segno manualmente (se avesse fatto
delle Instagram stories non sarebbe stato così interessante)
- La sigla, il disegno
dell'audiocassetta che si trasforma in bici è troppo carino
- Hannah Baker, adoro!
- Clay è un bel personaggio. È
complesso, è umano. Probabilmente è l’escluso del gruppo che viene
rivalutato (è un po’ il messaggio della serie)
- Bè direi la cicatrice di Clay, la nostra
grande bussola
- Il fatto che Clay porti i segni dell’animo
distrutto. Più le cassette si fanno intense e la situazione di Hannah
(secondo lei) arriva ad un punto di non ritorno, fisicamente Clay porta
questi segni di cedimento: non si lava, botte ovunque, non dorme. Lei
sempre impeccabile fino all'ultimo minuto.
- Tony, Tony sa tutto ma non dice
nulla, è il deus ex machina della situazione, anche perché è l'unico che
gira ancora con il lettore cassette nella macchina.
- Non ci sono personaggi totalmente
buoni o totalmente cattivi; sono tutti tasselli importanti nella vita di
Hannah ma ognuno ha la sua parte di colpa.
- Il set del bar ha un'aria subito familiare e non è il solito bar americano stile anni 50 (ma in America hanno ancora i bar anni 50?
COSA NON CI PIACE
1.
Ci sono delle questioni che si
potevano esplicare meglio (tipo il fatto che i genitori non si curano o si
curano male dei figli) altre che non servono
2.
Sono situazioni irreali. Dalle
pistole in casa, agli stupri, all’amica che ti pianta… Va bene in disagio
giovanile ma fino a un certo punto
3.
Verso la fine si perde. Vogliono
lasciare il finale aperto per la seconda stagione. Non ha senso una seconda
stagione!!! Si chiama 13, hai fatto 13 episodi… di cosa parli dopo? Alcune cose
sono belle perchè autoconclusive
4.
I ragazzi mi sembrano tutti dei
maniaci sessuali (a parte Bryce che lo è) però allo stesso tempo regna tra di
loro una pulsione omo non indifferente (almeno a me è sembrato così)
5.
Non lo paragonerei a Beverly Hills o Dowson’s Creek. Pur essendo una serie con degli adolescenti ha un
altro mood.
6.
Basta con ste atmosfere cupe e
inquietanti stile Twilight.
7.
Troppi personaggi, troppi, poche puntate e
1000 volti, ad un certo punto non ricordi neppure il nome del protagonista.
8.
Ed è per questo motivo che arriviamo
all'ottavo motivo; essendo troppi i personaggi non riesci ad instaurare un
rapporto con loro, non li "ami", non riesci ad aspettarli.
9.
Manca l'ironia, il divertimento, viene
lasciato poco spazio alle battute. Tutto molto dark (Ragazzi, anche nella saga
di Twilight qualche risata scappava).
10.
Non mi piace che il tossico di
turno sia uno che: "Beve caffè". Scusate, ma in mezzo a tutta quella
delinquenza, pistole, droga e alcool, passando per il bullismo e gli stupri, la
codardia e l'omertà, voi vi focalizzate sul povero Clay che beve troppo caffè?
11.
Parolacce a Go-Go, non c'erano
altri modi per far comunicare le persone? M'immagino lo sceneggiatore che dice:
"è qui cosa potrebbe dire!??!?mmmhhh aspetta c**** t**** c*** ecc., ecc… E
lo vorrebbero vietare nelle scuole per i temi trattati? Io affronterei i temi e
controllerei il linguaggio piuttosto.
12.
Salti temporali troppo poco
chiari. Sei nei corridoi della scuola, un secondo dopo sei nei corridoi della
scuola e sono passati 2 anni. meno male che c'era la cicatrice di Clay a dirci
"ehy, siamo nel presente!!!! Hannah è già morta!!!"
13.
La morte di Hannah. Sarebbe dovuta
essere l'apice della serie invece è solo un momento crudo fine a se stesso (io
ho chiuso gli occhi)
lunedì 11 settembre 2017
Focus on Christopher Nolan: Memento (2000)
Visto il grande successo dell'ultima fatica di Christopher Nolan Dunkirk, abbiamo deciso di dedicare al regista un focus raccontandovi passo passo la sua invidiabile filmografia. Partendo da Memento, poi Insomnia, passando per la trilogia del Cavaliere Oscuro, arrivando al labirintico Inception per approdare infine ad Interstellar.
Eccoci al primo post, dedicato a Memento che definirei il film “mitico” di
Nolan, un vero e proprio cult-movie, quello che tutti i grandi appassionati del regista devono
aver visto ben più di una volta. Come tutti i film successivi di Nolan
anche qui si riscontra la manipolazione del tempo attraverso il
montaggio, seguendo le vicende di un uomo affetto da amnesia. Ad ogni
risveglio non ricorda più nulla e deve ricostruire il passato e la
sua identità. La confusione e lo smarrimento del protagonista Lenny,
interpretato da Guy Pearce, coincide con le emozioni del pubblico,
completamente in balia dei salti temporali. La scelta del bianco e nero o del colore aiutano l'orientamento temporale, ma lo spettatore si trova a
dover cercare quegli indizi, inquadratura dopo inquadratura, che
consentano di collocare la scena in un “prima” o un “dopo”.
Proprio come il protagonista, che deve ricomporre la sua storia
osservando ciò che il Lenny di ieri gli ha lasciato: foto, appunti,
persino tatuaggi. Mostra così le immagini di un concetto astratto come quello della memoria, impresa che ripeterà con altre astrazioni quali per esempio il sogno e l'incubo (Inception e Insomnia).
I personaggi secondari hanno qui un ruolo fondamentale, forse maggiore dello spaesato Guy Pearce: ognuno deve rimanere in uno stato di indecifrabilità, restituendoci lo sguardo che il protagonista ha su di loro: di chi fidarsi davvero?
Nel cofanetto DVD del film è presente una
versione con un montaggio che segue l'ordine cronologico degli eventi, dedicata non solo allo spettatore un po' distratto,
per fugare gli eventuali dubbi, ma anche agli appassionati che possono comprendere al
meglio i meccanismi utilizzati dal regista.
Sicuramente un film meno spettacolare dei successivi ma che pone le basi per una poetica del tempo frammentato, e che acquisisce ancora più senso alla luce del percorso nolaniano, assolutamente da vedere (belli svegli, concentrati e pronti ad una seconda visione).
giovedì 7 settembre 2017
La pelle dell'orso, un viaggio tra simbologia e realismo
Film vincitore del
Premio Flaiano Opera Prima di quest'anno, La pelle dell'orso
di Marco Segato narra di un viaggio più che reale, profondamente
metaforico.
Ambientato negli
anni cinquanta in un paesino delle Dolomiti venete, il film ha come
protagonisti Pietro Sieff (Marco Paolini), un minatore, e di suo
figlio Domenico (Leonardo Mason); rimasti soli dopo la morte della
moglie, i due vivono un rapporto non rapporto, Pietro è un uomo che
non ha più nulla da perdere e Domenico non è per lui che un
estraneo
Quando un orso
attacca il villaggio, Pietro scommette con il proprio capo, Crepaz
(Paolo Pierobon), di riuscire ad ammazzare l'orso e portargli la
pelle. In palio ci sono 600.000 Lire, un anno di paga.
Pietro parte solo
verso i boschi che circondano il paese e Domenico decide di andarlo a
cercare. Lì nei boschi non troverà solo il padre, ma scoprirà
molto del suo passato anche grazie a Sara (Lucia Mascino), una donna
incontrata proprio nei boschi e che conosceva sua madre.
Il film, tratto dal
romanzo di Matteo Righetto, è intriso nella dimensione arcaica e nel
folklore veneto.
Al centro della
simbologia del film c'è l'orso, orso inteso come il male, non a caso
è chiamato il diaòl, quello che ammazza e
sfregia gli animali da fattoria, unica ricchezza dei contadini.
Alla figura
dell'orso si sovrappone quella di Pietro. All'inizio del film
assistiamo infatti ad un rito folklorico in cui, alcuni uomini
mascherati scendono giù dai boschi, vagano per le vie del paese fino
ad un prato dove c'è una pira che verrà incendiata; Pietro indossa
proprio il costume da orso.
È inoltre il
reietto del paese, ex detenuto e accusato dagli abitanti di aver
ucciso la propria moglie, è bersaglio di tutti, dei ragazzi che lo
prendono in giro, del suo capo e degli uomini del paese che si fanno
beffe di lui in osteria. Tutto ciò ricade su Domenico, che osserva
impotente cosa accade al padre e che, in più, ne subisce
l'indifferenza.
Pietro, l'orso, è
l'unico che può uccidere il daiòl e, nel
finale, i loro destini si intrecciano inesorabilmente.
Gran parte del film
è ambientato nei boschi, che è il topos dell'avventura per
antonomasia (si pensi alla selva dantesca, ai boschi dell'Orlando
Furioso o alle Langhe dei
romanzi di Cesare Pavese). Proprio lì Domenico troverà il
padre, che finalmente si comporterà da padre, e il suo viaggio nel
bosco lo porterà dall'età infantile a quella adulta.
Alla dimensione
arcaica si affianca quella della tradizione popolare veneta, delle
chiacchiere da osterie- proprio in osteria Pietro scommette con
Crepaz – del vino che fa sangue e non per ultimo del Santo veneto
per antonomasia, Sant'Antonio da Padova.
È interessante
notare come questa profonda metaforicità della trama venga
esplicitata con una tecnica di ripresa di chiara provenienza dal
cinema documentario. La macchina da presa si sofferma più che
sull'uomo, sulla natura che lo circonda, sui monti, sui boschi sui
ruscelli, tanto da restringere al minimo la presenza di una musica
extra-diegetica; infatti il paesaggio sonoro del film è
prevalentemente composta dai rumori della natura.
L'impronta
documentaria del film è influenzata dalla carriera del suo regista.
Autore molto legato alla sua terra, il Veneto, Marco Segato ha
toccato vari aspetti della cultura e dell'attualità del proprio
territorio; documentari come Via Anelli, che tratta dello sgombero e
della riqualificazione delle palazzine del complesso serenissima di
Padova, o come L'uomo che amava il cinema, sulla figura di Pietro
Tortolina, prendono sì origine da una realtà circoscritta, il
Veneto, ma che hanno un respiro più ampio di ricezione.
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martedì 5 settembre 2017
Le cronache del Lido
Quest'anno finalmente sono riuscita ad andare al Lido di Venezia,
dopo anni di pausa, causa: sempre in bolletta.
C'è di più, ho portato
anche mia madre, tutta questa esperienza meriterebbe almeno due
articoli, uno sul viaggio e tutta l'esperienza di mia madre (e
mia!!!!) e uno per il film. Ma cercherò di essere breve, per quanto
riguarda la prima parte. Ho scelto di andare a vedere Nato a Casal di
Principe di Bruno Oliviero per due motivi: il primo quel giorno ero
(finalmente) libera, il secondo è perché c'è un'attrice del film
che conosco e volevo andarla a salutare.
Mia madre, che non è mai
andata al Festival, ha uno slancio (come sempre) e mi dice: “Voglio
venire pure io!”, ovviamente le dico di venire, visto che si
lamenta sempre che non la porto mai da nessuna parte (la cosa non è
vera) e tanto altro ancora. Acquisto il terzo biglietto, questo
martedì, dal momento dell'acquisto al giorno della proiezione avrà
cambiato idea circa 700 volte, tanto che ad un certo punto a
Chioggia, prima di prendere il traghetto, con il brutto tempo che
avanzava minaccioso verso di noi le ho detto “Senti resta qui e ti
faccio venire a prendere!”.
Dalla nostra partenza
all'arrivo al Lido il diluvio, sembrava un uragano, un signore in
traghetto ha spaventato mia mamma dicendo “Potrebbe formarsi una
tromba d'aria!”, io l'ho guardato allucinata “NOOOOOOOOON dire
ste cose!”, lei sempre più terrorizzata. Ripeto, il tutto
meriterebbe un articolo a parte dal titolo “Al Lido con mamma”.
Arrivare alla Mostra è
sempre una grande emozione (nonostante a me Venezia non piaccia).
C'era poca gente in giro, il brutto tempo non ha aiutato. La Sala
Giardino (inaugurata l'anno scorso) era piena. In sala c'erano
autori, attori, regista e i fratelli di Paolo Letizia (Amedeo e
Ginevra). Personalmente, la storia non la conoscevo, ho letto qualche
informazione sul film prima di comprare i biglietti e poco altro; non
volevo essere troppo influenzata dal giudizio altrui.
Il film è tratto dal
libro scritto da Amedeo Letizia e dalla giornalista Paola Zanuttini.
In breve: Amedeo è a
Roma e vuole diventare attore, siamo nel 1989, torna a Casal di
Principe perché il fratello minore, Paolo, è sparito ormai da
qualche giorno. Amedeo, il fratello e il cugino cercheranno di
mettersi sulle sue tracce. Il film affronta i giorni successivi alla
scomparsa di Paolo, la famiglia cercherà di affrontare il tutto come
può. Già è difficile dover affrontare un lutto, ma una scomparsa
improvvisa, priva di risposte, deve essere ancora peggio.
All'inizio del film
Amedeo e il cugino, vanno in un casale abbandonato a fare
rifornimento di armi, tornato a casa troviamo la madre e altre donne
impegnate a pregare.
Le donne del film, in
particolare la mamma di Amedeo e Paolo, troveranno conforto e
sostegno nella religione. Tutti i personaggi, pur dovendo affrontare
la stessa drammatica scomparsa, sono solitari nella loro ricerca,
faticano a trovare un linguaggio comune, credo sia proprio
l'incapacità di trovare risposte che li porta a non saper comunicare
tra di loro.
È difficile per me poter
comprendere la camorra e quello che questa rappresenti per i
cittadini che devono affrontarla, da buona “venetona” quale sono,
la vivo in maniera lontana, quasi sicuramente sbagliando, credo che
la battaglia contro la camorra, la mafia e la ‘ndrangheta sia
qualcosa che riguarda tutti noi, non solo chi deve affrontarla
dolorosamente tutti i giorni. Questo è uno dei motivi principali per
cui ho trovato il film molto interessante e sono molto felice di
averlo visto.
Le paludi, i casali
abbandonati, mi hanno molto ricordato le zone in cui vivo, il basso
polesine, un ambiente naturale, difficile da vivere, una continua
scoperta. Ed è questo che fa l'occhio del regista, lo indaga, lo
affronta. Solo un regista che arrivava dal documentario poteva
indagare così a fondo l'ambiente. Trovo che il regista che arriva
dall'esperienza documentaristica abbia molto più rispetto della
natura e dei suoi abitanti, me lo immagino sempre come un chirurgo
preciso, che incide la superficie per farci entrare dentro alle cose
in maniera “scientifica”.
Non c'è solo questo nel
film, non c'è solo la biologia di un ecosistema, ci sono anche i
sentimenti delle persone, la loro fragilità nel dover affrontare una
cosa molto più grande di loro, il dolore viene indagato, ma in
maniera rispettosa, con assoluta dignità, composta, senza cadere in
facili moralismi. Nel film i dialoghi non sono moltissimi (forse il
motivo è anche quello che ho detto sopra), un altro motivo potrebbe
essere quello di aver lasciato molto più spazio alla fisicità degli
attori, bravissimi nella loro interpretazione.
Un occhio di riguardo l'ho avuto per le due donne del film; la madre di Amedeo si fa accompagnare
dal figlio da una veggente, non credo che Amedeo comprendesse fino in fondo questa scelta della madre, ma decide di accompagnarla. Rivedere Lucia Sardo e Donatella Finocchiaro insieme, mi ha molto emozionato.
Il film termina con poche risposte, apparentemente.
Amedeo e il padre, quando la loro personale ricerca termina in Spagna riescono ad avvicinarsi. I due uomini per tutto il film hanno fatto molta fatica a stare insieme, Amedeo voleva agire, rimanere in casa lo faceva sembrare un animale in gabbia è un ragazzo, quindi l'ambiente chiuso e l'attesa lo fanno soffrire. Il padre è un uomo, vuole che la vicenda faccia il suo corso, rinchiuso tra le mura domestiche attende che polizia ed altri uomini possano riportare il figlio a casa. Solo in Spagna con il figlio, capisce che Paolo non tornerà più, credo che il padre in realtà, più di tutti l'avesse sempre saputo. Amedeo, in una delle scene che porta verso la conclusione, si trova davanti ad una scelta, faccia a faccia, probabilmente con l'assassino del fratello, insieme ai due compagni d'avventura, incappucciati, con le armi, osservano l'uomo pescare. Amedeo si toglie la maschera e decide, la vendetta non riporterà il fratello indietro, non è con altro sangue che la situazione cambierà così getta le armi. L'unica cosa da fare è vivere, ricominciare a vivere e smetterla di lottare.
Nel finale la famiglia si ricompone a tavola, cenano tutti insieme, seduti allo stesso tavolo, per la prima volta in tutto il film, si fermano e non vagano per tutta la casa inseguendosi. La macchina da presa si allontana da loro, esce dalla casa e sale in alto, in cielo. Paolo è libero di volare.
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Recensione,
recensioni
domenica 3 settembre 2017
Dunkirk
Christopher
Nolan ha narrato la trilogia del Cavaliere Oscuro (2005-2012) e la
profondità della mente umana in Inception
(2010). Gli sono devota da The
Prestige (2006) e, per
me, da quel momento lui è diventato uno dei più grandi registi in
circolazione.
Dunkirk
o Dunkerque è un lembo di terra tra Francia e Inghilterra, che venne
assediato dalle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale.
Lì 400.000 soldati tra inglesi, francesi e belgi, presi in trappola,
aspettavano di essere portati via in salvo, pur potendo vedere la
costa della patria. Tra maggio e giugno 1940, 400.000 combattenti
furono salvati grazie all’iniziativa dei civili che, con piccole
imbarcazioni, partirono dall’Inghilterra e andarono a riprendere i
loro ragazzi.
La
retorica dei film di guerra viene azzerata e inizia una nuova forma
di narrazione. Il realismo di Nolan si fonde con la storia sin nei
dettagli. Mi sono sentita schiacciata e avevo le lacrime agli occhi.
Ho sofferto e mi sono sentita impotente nel vedere morire quei
ragazzi e di fronte alle scelte per la sopravvivenza che dovevano
fare tutti, dal soldato semplice al generale; ero lì. I grigi e i
marroni della spiaggia, il nero e il fuoco della notte e l’azzurro
del cielo dominano, non c’è sangue.
Non
c’è il nemico, non si sente parlare tedesco, non ci sono i
cattivi.
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