martedì 30 gennaio 2018

FilmLovers seriali, le serie cult del blog

Non si vive di solo cinema, motivo per cui esistono le serie TV!
Abbiamo deciso di rivelarvi le nostre serie del cuore, che siano vecchie, nuove, lunghe o brevi per noi FilmLovers sono dei veri cult!
Leggete e rivelateci la vostra serie cult!



Stenia Grassetto consiglia Firefly

Firefly è (probabilmente) la serie tv più cult di uno degli autori televisivi più cult, Joss Whedon; boicottata dai produttori, tanto da essere “chiusa” dopo 14 episodi, amata dai fan e dall’autore. Perchè è da vedere?
Perchè è un Neo Western cioè un ibrido tra western e fantascienza e i protagonisti sono degli space cowboy (il capitano/ex-militare, il conducente/pilota dell’astronave Firefly, la prostituta, il medico, il reverendo).
Perché il Capitano Malcom Reynolds ha un’etica profonda e appassionata; Nathan Fillion, l’interprete principale della serie e di Castle, ama il personaggio tanto da indossarne le vesti durante i party di Halloween nella serie omonima.
Perché l’attore protagonista e l’autore non hanno mai messo da parte l’idea di continuare la serie.
Perché l’attivismo dei fan ha permesso di realizzare il film Serenity, continuazione degli eventi della serie.
Perché la serie sta continuando come grafic novel.
Ecco perché è da recuperare.



Laura Perrotti consiglia Saranno Famosi

La mia serie cult è Saranno Famosi che è forse la prima serie tv che ho visto per intero (e anche diverse volte!).
Saranno Famosi racconta della vita degli studenti della New York School of Performing Arts, una scuola superiore dove oltre a letteratura e matematica si insegna anche music canto recitazione e danza, insomma, per chi mi conosce, è il mio ideale di paradiso (infatti da ragazzina volevo emigrare a New York per studiare lì e non frequentare il liceo).
Saranno famosi è un cult per la sua sigla, Fame!
Ho amato molto questa serie non solo per il lato da musical ma anche per il fatto che non puoi non amare i suoi personaggi, il più iconico è Leroy Johnson (Gene Anthony Ray), un ragazzo afroamericano tanto sfacciato quanto talentuoso, ma ci sono anche Bruno Martelli (Lee Curreri), Danny Amatullo (Carlo Imperato) e Doris Swartz (Valerie Landsburg). Sono dei gran bei personaggi anche molti dei professori, come Shorofsky (Albert Hague) e Lydia Grant, la prof di danza interpretata da Debbie Allen (ora Catherine Avery in Grey’s Anatomy). 
Se vi state chiedendo come mai una ragazzina nata negli anni Novanta abbia come serie cult un telefilm degli anni Ottanta basta guardare la sigla!



Sonia Madini consiglia Mad Men

Serie iniziata nel 2007 e conclusa poco più di due anni fa, se non l'avete vista è assolutamente da recuperare. 
Le puntate ci immergono nel mondo pubblicitario newyorkese degli anni '60, seguendo le vicende del misterioso e geniale direttore creativo Don Draper (John Hamm), della sua famiglia e dei suoi collaboratori (fra cui una fantastica Elisabeth Moss, celebre protagonista di The Handmaid's tale). A fare da contorno i grandi stravolgimenti sociali in atto in quegli anni e gli eventi storici che hanno segnato il decennio: tra i tanti la contrapposizione Nixon Kennedy, la crisi dei missili di Cuba, la lotta afroamericana per i diritti civili. Un ritratto storico pieno di dettagli, con personaggi carismatici, che evolvono e crescono. Guardare almeno una puntata per credere!



Giada Ravara consiglia Will e Grace

Correva l’anno 2001 quando per la prima volta venne trasmesso in Italia “Will e Grace”. Io avevo solo dieci anni, ma ricordo benissimo quanto rimasi folgorata dallo sfavillante universo che gravitava attorno ai due protagonisti della sit-com americana.
Will è un avvocato gay di successo che condivide un appartamento a New York con la sua migliore amica Grace, una nevrotica arredatrice. I due sono uniti da un profondo legame affettivo e dalla totale sfortuna per quanto riguarda le questioni di cuore! Le loro vicende raccontano molto bene la rampante generazione dei trentenni sull’orlo di una crisi di nervi, divisi tra la ricerca del successo personale e quella del grande amore. 
Will and Grace assume toni esilaranti grazie soprattutto ai due personaggi secondari, assolutamente “sui generis”: Jack, l’amico attore di Will, e Karen, l’altolocata segretaria di Grace. Jack e Karen, eccentrici e politicamente scorretti, sono per me la vera chiave del successo dello show: fanno da contraltare ai due perfettini protagonisti, arrivando spesso a rubargli la scena con i loro improbabili teatrini.
La serie ebbe un importante successo e diventò un vero fenomeno di costume in quanto finestra sulla cultura LGBT americana, rappresentata con sagace ironia e leggerezza che ancora oggi non ha paragoni. Non sono mai mancati i riferimenti politici, sempre nel nome del sostegno della causa per i diritti degli omossessuali: ultimo il web-episodio speciale lanciato dopo dieci anni dalla fine della serie a sostegno della candidatura alle presidenziali del 2016 di Hillary Clinton. 


Francesca Guarnieri consiglia Beverly Hills 90210

Una serie tv, che ho visto, che vedrei e rivedrei è: Beverly Hills 90210, iniziata negli anni ’90 e terminata all’inizio del nuovo millennio. Volevo cambiarla per non essere scontata, ma sarei finita a scegliere una serie anni ’90, quindi poco cambiava.
Beverly Hills è la storia dei gemelli Walsh, due adolescenti che dal Minnesota si trasferiscono con tutta la famiglia nella caldissima e ricchissima Beverly Hills. Brenda (Shannen Doherty) e Brendon (Jason Priestley) dovranno ricominciare da zero, fare nuove amicizie e qui entrano in campo i 6 amici: Kelly (Jennie Garth), Donna (Tori Spelling), Andrea (Gabrielle Carteris), Dylan (Luke Perry), David (Brian Austin Green) e Steve (Ian Ziering).
Casa Walsh sarà un punto di riferimento, l’unione sana e genuina della famiglia riuscirà ad essere di conforto ed aiuto ai giovani amici dei due fratelli.Non cadrò nella disputa team Brenda o Kelly, ovviamente tifavo per la prima, però posso dire che non tutte le stagioni della serie sono state entusiasmanti come le  prime quattro, dall’uscita di scena di Brenda la serie ha preso una strana piega.Perché vedere le prime stagioni? Per i nostalgici, sarete avvolti da un’atmosfera adolescenziale, in generale, perché è una dei primi Teen drama, che con coraggio ed audacia ha affrontato vari temi: droga, anoressia, alcolismo, Hiv, prevenzione tumore al seno, suicidio (ben prima di 13) e altro.




domenica 28 gennaio 2018

Gabriele Muccino Made in Italy! - L'ultimo bacio: che non è stato ultimo!

15 anni fa, si diventava adulti a 30 anni, 15 anni prima si diventava adulti verso i 20. Oggi forse, adulti non lo si diventa mai. Ne L’ultimo Bacio Muccino, racconta proprio quel passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta dei primi anni 2000, una crisi esistenziale che non si esaurisce con il termine dell’adolescenza ma che si prolunga e fa solo danni.  

In questo film vengono descritti degli uomini ragazzini, che tentano in tutti i modi di scappare dalle responsabilità, che vogliono ancora evadere. Da una parte i sono i trentenni, dall’altra i cinquantenni in crisi, rappresentati dalla mamma di Giulia (Stefania Sandrelli) e la sua cricca di amici. Nessuno vuole invecchiare, nessuno vuole maturare, a tutti manca sempre il respiro, il fiato si blocca tra un’età psicologica e le convenzioni sociali, che in questo film bloccano la voglia di vivere ai protagonisti. 

L’ultimo Bacio racconta la vita di 5 trentenni, tutto ruota attorno a Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (Giovanna Mezzogiorno) che sono i veri protagonisti, lei innamoratissima, incinta di tre mesi, lui ha quasi trent’anni e non si rende ancora del tutto conto che diventerà padre. Al matrimonio di uno dei cinque, forse il più maturo, infatti poche volte lo vediamo con gli amici, Marco (Pierfrancesco Favino), Carlo incontra la diciottenne Francesca (Martina Stella) lei lo porta sulla casetta sull’albero e lui retrocede in modalità infantile, inizia a ragionare con un altro organo del suo corpo, che non è propriamente il cervello…o il cuore e manda a quel paese fidanzata e figlia. Inizia così una pseudo relazione con la ragazza, senza lasciare la compagna, no, troppo semplice, significherebbe avere capacità decisionale, cosa che Carlo per quasi tutto il film non ha. 


Accorsi, Favino, Santamaria, Cocci e Pasotti


Poi ci sono gli altri tre Paolo (Claudio SantaMaria)Alberto (Marco Cocci) e Adriano (Giorgio Pasotti). Il primo lavora nel negozio di articoli religiosi di famiglia, si è appena lasciato dalla fidanzata, che odia e ama allo stesso tempo. Giorgio Pasotti, marito di una donna che non sopporta più, decide di lasciare Livia (Sabrina Impacciatore) e il loro figlio, non vuole che il bambino cresca con due genitori che non si amano più (lei sclera parecchio e un po’ di ragione ce l’ha a lasciarla). Marco Cocci è l’alternativo del gruppo: fa uso regolare di droghe leggere, vive relazioni occasionali ogni sera e vuole viaggiare, sarà lui a spronare gli altri due a prendere una decisione e a farli evadere, partendo in un viaggio che volevano fare da molto tempo. 

Oltre ai 5, ci sono i genitori di Giulia, una coppia che dopo trent’anni di matrimonio affronta una crisi, a quanto pare una nuova crisi, lei si sente trascurata, lui sicuro del suo amore per lei, vorrebbe dei brividi, a lui la vita di coppia va bene così, io dico però, se ti sposi un bradipo non puoi pretendere che dopo trent’anni questo diventi un ghepardo, non mi sembra una metamorfosi accettabile. Questo film quando è uscito l’ho adorato (Poi c’è la canzone di Carmen Consoli che sotto vi linko perché merita), rivederlo dopo tutti questi anni mi ha un po’ destabilizzata: ho trent’anni e forse sono diventata troppo pretenziosa con i film che vedo (questo commento sembrerebbe assurdo visto che sono una fan numero 1 delle commedie demenziali, però da quelli seri esigo disciplina e rigore, ovviamente scherzo, un po’). Ho vissuto queste due ore scarse con sentimenti contrastanti, da una parte mi ha messo il nervoso, dall’altra mi ha commosso, soprattutto il finale (io non l’avrei perdonato manco morta) quando Carlo per la prima volta riflette sulla scelta che ha fatto post tradimento, della vita che finalmente decide di scegliere e di accettare.   

P.S. Se vi interessa e, magari non lo sapere, anche se dubito fortemente, esiste il sequel Baciami Ancora, del quale non ce ne era bisogno, si poteva (per me) fare benissimo a meno! 


venerdì 26 gennaio 2018

Britannia: l'inizio di una nuova era


Lunedì 22 Gennaio è stato dato il varo a Britannia, la nuova serie tv co-prodotta da Sky e Amazon, che vuole prendere un posto di primo piano tra le proposte del genere Storico-Fantasy, seguendo la scia di successo di Vikings e Outlander e ovviamente del Trono di Spade.
I primi due episodi trasmessi da Sky introducono le vicende ambientate nel 43 d.C. durante il secondo tentativo di invasione romana della Britannia ad opera del Generale Aulo Plauzio, qui interpretato da David Morrisey, già visto nel ruolo del Governatore in “The Walking Dead” che a quanto pare si sente perfettamente a suo agio nei panni del cinico autorevole: il suo Aulo Plauzio è ambizioso, affascinato dalla magia e dall’ignoto oltre ogni ragionevole livello di autoconservazione; tutte caratteristiche che ci fanno ben sperare per lo sviluppo del suo personaggio!
L’altra protagonista è Kerra, interpretata da Kelly Reilly (attrice ben rodata, già vista nei due Sherlock Holmes, L’appartamento Spagnolo, Orgoglio e Pregiudizio), figlia in totale contrasto con il padre Pellenor, Re dei Cantiaci. Il suo è un personaggio partito un po’in sordina, solo nel secondo episodio si fa cenno al passato tormentato di Kerra: è lei il pomo della discordia che ha innescato il conflitto con l’altra potente tribù dei Regnensi, comandati dalla Regina Artedia, che pur di annientare il nemico storico si mostra disponibile a trattare con i Romani.
Un’altra parte fondamentale dello show è impersonata dal gruppo dei Druidi, i primi a opporsi apertamente ai Romani, insidiando per primo proprio Aulo Plauzio. La loro rappresentazione differisce molto dall’iconografia tradizionale che riporta sempre alla mente uno dei tanti Mago Merlino che si sono susseguiti nella storia cinematografica. Qui si sceglie una via più gotica: questi druidi hanno molto da che spartire con i vampiri tanto cari al mondo delle serie tv; per il loro pallido colorito, per gli occhi neri e i denti aguzzi. Veran, il loro leader, ne è il massimo esempio. Sono i druidi a tenere le fila dell’intera Britannia che vede in loro il diretto tramite con il mondo degli Dei, concedendogli il potere di decide del destino di schiavi, uomini liberi e regnanti.
Collegato ai Druidi vi è il personaggio di Divis, il druido reietto a cui è affidata una story-line parallela che ha poco toccato le vicende principali: è l’unico che ha previsto la catastrofica venuta dei Romani tentando invano di lanciare un grido di allarme, rimasto inascoltato date le sue peculiari caratteristiche: Divis è il folle, lo scacciato, l’indemoniato. Incrocia il suo destino una ragazzina, che viene salvata dal druido durante il suo rito di iniziazione a Beltane, interrotto dall'attacco romano che in un lampo spazza via la sua intera famiglia. Il ruolo che lei avrà nello show per adesso rimane ancora incerto.
Sullo sfondo delle numerose storie presentate in questi due episodi si muovono diversi personaggi minori, tra cui spicca Amena (interpretata da Annabel Scholey, Contessina nei “De Medici”…l’avete riconosciuta anche voi?), scaltra moglie del fratello di Kerra, data in sposa per volere dei druidi anche ad un altro valoroso guerriero appartenente ad una tribù gallica per suggellarne l’alleanza. Nel secondo episodio si mostra un “ragno tessitore” abile a farsi largo nei giochi di potere a suon di colpi bassi.
Non posso fare a meno di notare il centurione Vespasiano: il Don Pietro Savastano di “Gomorra”! A quanto accaduto nel secondo episodio continueremo a compiangerlo anche qui… mi sembra davvero impossibile che un attore delle bravura di Fortunato Cerlino venga impiegato solo per irrilevanti numero di grugniti!

Ma la serie a mio parere ha ancora molte frecce al suo arco: tanta carne sul fuoco per due sole puntate, ma Britannia mischia il passato del popolo celtico radicato nella dimensione esoterica più antica (la cui realizzazione trova largo spazio nello show) con il loro istinto guerriero in piena rotta di collisione con l’imminente invasione romana, assetata di fama e potere ad ogni prezzo. Un mix avvincente che mi ha personalmente convinto e sembra aver convinto anche il pubblico: la prima assoluta della serie in Gran Bretagna e Irlanda, che ha preceduto la messa in onda italiana solo di pochi giorni, è il miglior risultato riscontrato da Sky dal 2015. L’emittente non ha perso tempo ed ha già venduto i diritti ad altri network internazionali che la trasmetteranno in ben 124 paesi. Se è vero che chi comincia è a metà dell’opera…chissà cos'altro ci riserveranno gli altri 7 episodi!


mercoledì 24 gennaio 2018

Principe Libero, musica e ricordi di Fabrizio De Andrè

Fabrizio De Andreè. Principe Libero è la fiction in due puntate dedicata alla vita di Fabrizio De Andrè, diretta da Luca Facchini che andrà in onda su Rai1 i prossimi 13 a 14 febbraio. E' stato proiettato nei cinema il 23 e 24 gennaio in un'anteprima che ha richiamato molto pubblico.

Luca Marinelli è Fabrizio De Andrè


Facchini ci restituisce un ritratto avvincente, poetico ed affettuoso del cantautore genovese; il Fabrizio De Andrè presentato è famigliare - anche grazie all'apporto di Dori Ghezzi alla scrittura della sceneggiatura - ironico e soprattutto autoironico.

Nella fiction vedremo le varie tappe della vita di  De Andrè che hanno influenzato il suo mondo poetico.  Vediamo così l'infanzia a Genova con i caruggi, il porto, i pescatori e le prostitute, poi Milano dove conosce Dori Ghezzi e infine anche la campagna Sarda. Troviamo molte degli amici, famosi e non, che hanno influenzato la sua scrittura; dalla sua prima "spalla" Paolo Villaggio (Gianluca Gobbi), a Luigi Tenco  (Matteo Martari), fino alla PFM.

La scrittura dei brani è il collante della storia, andiamo avanti di canzone in canzone, da Marinella, a La canzone dell'amore perduto, Amore che vieni amore che vai, a La canzone del maggio fino al ri-arrangiamento di Il pescatore.

La vita di Fabrizio De Andrè non può prescindere dal più forte dei sentimenti, l'amore. Al suo fianco due donne, Enrica/Puni (Elena Radonchich), la prima moglie e poi Dori Ghezzi (Valentina Bellè), sua compagna per anni, che poi sposò nel 1989. Due modi diversi per amare lo stesso uomo. 

Un De Andrè semplice ma ricco di emozioni come le sue canzoni, quello portato sullo schermo da Luca Marinelli.
Marinelli ha creato un De Andrè "stilizzato", l'attore ne ha preso le movenze ma non le sembianze (non c'è molto trucco), non è diventato De Andrè, lo ha interpretato a modo suo, come sempre in modo convincente
Se gran parte del pubblico si chiedeva come Marinelli riuscisse a non farlo pensare al suo "Zingaro", possiamo dire che ci è riusciti egregiamente.
In apparenza l'attore romano ha davvero poco a cui spartire con il cantautore genovese, nella sua interpretazione riusciamo a ritrovare molte delle sue caratteristiche, in particolar modo i suoi modi schivi. Lo vediamo costantemente chino chino su se stesso, nel suonare la chitarra, nello scrivere, nel bere e fumare. 

Affianco a Marinelli, un cast interessante e ben costruito. Prima tra tutti Valentina Bellè, che interpreta Dori Ghezzi. Martari ci regala una breve ma molto interessante interpretazione di Luigi Tenco. Il personaggi più difficile da interpretare senza scadere nell'imitazione è quella di Paolo Villaggio, Gobbi è riuscito a non "rifare" Fantozzi ma a diventare l'uomo dietro il personaggio. 



Un bel ricordo di un grande cantautore caro tanto a chi lo ha conosciuto che a chi, troppo giovane, è comunque cresciuto con le sue canzoni.

lunedì 22 gennaio 2018

MANHUNT: UNABOMBER, come chiudere in bellezza il 2017



Ted Kaczynski è un folle. Un pericoloso serial killer a cui l’FBI da incessantemente la caccia. L’unica prova sulla quale basare le loro ricerche è il manifesto scritto interamente da lui dove argomenta il suo pensiero sul mondo che lo circonda. Ma può un manifesto bastare per incastrare un uomo?

La serie è stata creata da Andrew Sodroski, Jim Clemente e Tony Gittelson; Tra i produttori troviamo anche Kevin Spacey. Ad interpretare l’agente dell’FBI Jim Fitzgerald vi è Sam Worthington (Avatar, Scontro fra Titani, Hacksaw Ridge etc…), mentre il killer Ted Kaczynski lo interpreta Paul Bettany (A Beautiful Mind, la saga di Iron Man, Avengers etc…). La serie è disponibile sul canale streaming Netflix, composta da otto episodi. Nota più importante? È tratto interamente da una storia vera!


Manhunt: Unabomber, senza ombra di dubbio, è la serie migliore che ho visto del 2017. Difficile parlare di protagonisti e antagonisti perché nonostante il poliziotto rivesta la parte del buono, non è di lui che ci parla la storia, dunque, diventa il nostro antagonista. Chi è allora il protagonista? Il killer, la persona più temuta del momento, colui che ha rovinato la vita di centinaia di persone, colui che, nonostante tutto, lotta per una causa in cui crede ciecamente. Il poliziotto, compreso tutto l’FBI, non sono altro che i suoi avversari. Tutto ruota intorno la sua figura affascinante e misteriosa, intorno il suo modo di pensare nei confronti del mondo, della vita e delle persone. Sin dall’inizio, tramite stacchi temporali, diamo un volto al nostro killer e sopratutto sappiamo che è già stato catturato; Ma non è quello il punto. A noi interessa sapere come e perché, chi sia realmente quest’uomo inafferrabile che ha terrorizzato tutta l’America semplicemente alzandosi la mattina e spedendo un pacco postale. Un gesto compiuto da migliaia di persone ogni giorno.
La serie è scritta egregiamente, non perde mai di vista il focus principale e non si smarrisce in inutili sotto trame. I personaggi sono ben delineati dall’inizio alla fine: Non troverete persone che di punto in bianco fanno cose a caso perché qualche sceneggiatore incapace lo ha snaturato. Lati negativi ne abbiamo? Si, in particolare la scelta di aver sorvolato su alcuni elementi davvero importanti che vengono solo accennati ma che a mio avviso andavano assolutamente mostrati. Ci sono dei pezzi che potevano essere benissimo accorciati o sostituiti con altro, tant’è che quando ho finito di vederlo ci sono rimasto male perché non mi sono state mostrate alcune scene che aspettavo con ansia.

Consigliato? Ma ci mancherebbe! È una serie TV che dovete assolutamente vedere! (Ripeto: È su Netflix) Un perfetto esempio di come scrivere una storia ad oc senza snaturarla o riempiendola di fan service e luoghi comuni.
Sapete una cosa? In fondo, una parte di Ted Kaczynski vive in ognuno di noi. Quello che ci contraddistingue è solo il modo di agire.

sabato 20 gennaio 2018

Dieci motivi per amare American Crime Story, Il caso O. J. Simpson



Perry e Ceschina sono tornate! Dopo aver avuto grossi dubbi su 13 Reasons Why e aver demolito il remake di Dirty Dancing, hanno trovato una serie da amare: Il caso O. J. Simpson.

Se lo avete perso o se lo avete già visto tutto in tre giorni (come hanno fatto loro) e state fremendo per la nuova serie sul caso Versace, beccatevi questi 10 motivi per amarlo.



1. La scelta del caso giudiziario. Il caso O. J. Simpson è oggettivamente irrisolto. Permette di farci una nostra idea su come potrebbe essere andato l’omicidio. Inoltre tocca temi tuttora di grande interesse sociale, come la discriminazione razziale e la violenza domestica.

2. Non ci sono personaggi solo positivi o solo negativi, è una rappresentazione neutra degli avvenimenti del processo.

3. I movimenti di macchina sono un elemento forte della serie, ruotano, zoomano sugli attori, abbiamo soggettive e oggettive. Siamo gli occhi della giuria, dei giornalisti ma anche quella delle telecamere Tv… Chapeau!

4. I Kardashan. Se vi siete chiesti “ma perché i Kardashan sono così famosi?” con Il caso O.J Simpson lo scoprirete! Anzi, saprete anche come erano prima di diventare i più snob del mondo.

5. Gli anni '90. Dopo il grande ritorno degli '80 con Stranger Things, si torna anche negli anni '90, in cui tutte amavamo Dylan anche se aveva messo le corna a Brenda… Se avete la nostalgia degli ultimi momenti di gloria delle spalline e delle cravatte dalle fantasie sgargianti le ritroverete nelle aule di tribunale di questa serie.

6. Rimanendo in tema del vintage, riscopriamo gli anni in cui non esistevano i social. I fatti dei vip (e soprattutto dei Kardashan) li dovevi andare a cercare dal giornalaio, o in Tv.

7. Il grande ritorno di David Schwimmer, l’indimenticato Ross di Friends. Lo vediamo nei panni del buon Rob Kardashan, ma pensiamo sempre a lui e Rachel al central perks. Il suo personaggio è forse la vera vittima di tutta la serie.

8. C’è anche il ritorno di John Travolta, ci era mancato… non balla e non canta però; interpreta l’avvocato dei vip e passa gran parte della serie a litigare con i suoi colleghi.

9. Cuba Gooding Jr. ci regala una bellissima interpretazione del protagonista, l’ex giocatore di Football O. J. Simpson.

10. Menzione speciale per la produzione che comprende Ryan Murphy, il creatore di Glee, e anche John Travolta.

giovedì 18 gennaio 2018

Noi siamo tutto. Il titolo sembra una presa in giro.

Di film brutti, ne ho visti tanti, ma come questo, nessuno. E’ un’offesa al giovane pubblico. Sul serio, pieno di banalità, ne ha così tante che non so neppure da dove iniziare. Il film (regia di Stella Meghie) è tratto dal libro omonimo di Nicola Yoon.
Allora Madeline (Amandla Stenberg), detta Maddy, ha una malattia: immuno skin, non può uscire o entrare in contatto con persone che prima non siano sterilizzate, oggetti sterilizzati, perché se entra in contatto con un virus il suo sistema immunitario non saprebbe sconfiggerlo e anche con un banalissimo raffreddore potrebbe lasciarci le penne.
Non si sa per quale strano motivo (forse per via dei coloranti, tossici anch’essi) deve indossare magliette bianche di cotone, poi in realtà nel film mette altre cose colorate: e allora perché dirlo? Si poteva anche sorvolare sulla questione colore o non colore. Eh no, perché Maddy “incontra” il suo nuovo vicino di casa, Olly (Nick Robinson), che guarda caso veste sempre di nero. Ma che contrapposizione intelligente, caspita! I due si osservano da lontano, spero non troppo, perché altrimenti scatta la fantascienza e la vista bionica.
Olly e la sorella vanno a citofonare a casa di Madeline per portare un ciambellone, gentilmente offerto dalla madre dei due, per scusarsi del loro arrivo. Qui ti fanno capire, furbacchioni “siamo dei cattivelli vicini”. Oh mamma mia, che ribelli e che spavento. La madre psicopatica di lei (Anika Noni Rose) rifiuta il ciambellone e per giorni lui alla finestra fa fare delle cose assurde a sto dolce. E lei ride. Poi finalmente decidono di scambiarsi il numero. Ragazzi: siamo nel 2017, abbiamo più social che aria. Aggiungo una piccola cosa, prima di proseguire, per i primi sei minuti di film, parla solo lei, i suoi pensieri scorrono per 6 interminabili minuti.


Nel momento in cui i due Romeo e Giulietta iniziano a mandarsi i messaggini della conoscenza (nel momento in cui è scattato il paragone con i due amanti di Verona, monumenti dedicati a William si stanno sgretolando), veniamo catapultati nella fantasia di lei, sono in un bar che conversano, adesso, non so se la conversazione sia fredda per cercare di replicare il gelo del dispaly. Fatto sta che, questa conoscenza è sconnessa e insensata. Ho deciso di estrapolare alcuni passaggi che mi hanno lasciato particolarmente allibita: Maddy chiede al povero malcapitato “hai presente il film Stregata dalla luna?”, lui risponde no. Allora a quel punto, una persona normale o gli racconta brevemente il film, oppure cerca comunque di ricollegarlo a quello che ha detto, non gli vai di certo a citare una battuta del film, se non l’ha visto che gliela dici a fare? E poi si stupisce perché lui non riesce a cogliere il senso.
Ma ad un certo punto, scatta la celebrazione dell’ovvio. Lui, per vivacizzare la conversazione e dare un ritmo più incalzante alla conoscenza dice “Facciamo un gioco”. Gioco, dovrebbe essere divertente. Devono citare alcune cose per descriversi, le prime due sono: libro preferito e una parola che ti rappresenta, Olly spedito risponde “Il signore delle mosche, macabro…”. Lei cerca di fare l’intellettualoide per atteggiarsi e dice “Il signore delle mosche? Ah lugubre!”. Ti prego, sono appena trascorsi 15 minuti e ne abbiamo già combinate così tante.
Adesso, non dirò che formalmente ed esteticamente è brutto, è abbastanza nella norma, ci sono alcune cose poco a fuoco, però tutto sommato, possiamo passarlo. Non abbiamo grosse aspettative da quel punto di vista. Questo film è brutto soprattutto nei dialoghi e come si sviluppa la storia, per questo motivo è veramente orribile. Però dai, andiamo avanti, manca ancora un ‘ora e un quarto, può sempre migliorare.  Ma quando mai!
Il loro amore è avvincente come una gara di carrelli del vecchietto di Amazon. È un film imbarazzante! C'è più pathos in una puntata de il segreto che in questo film.
La madre è una psicopatica (l’avevo già detto, ma è meglio ridirlo), ha perso marito e il fratello di Maddy in un incidente d'auto. E Olly? Chi è, come vive questo rapporto? Perché non ha nessuna espressione, ma qualsiasi cosa gli venga detta fa un sorriso da ebete.  Non si sa! Poi uno slancio: i due partono alle Hawaii per una fuga d’amore. Ecco risulta pesante anche la parte più spensierata, il vuoto dei dialoghi viene riempito con delle musiche, anch'esse poco azzeccate, magari qualcosa di allegro pop o una bella ballata strappalacrime. Piatto.” Io ti amo”, dice lui. “Io ti amavo ancora prima di conoscerti”, risponde lei …e a quel punto ti cade tutto, o meglio cade anche quell’ultima cosa che fino a quel momento, non si sa per quale assurdo motivo, era rimasta su.  Gli innamorati in vacanza entrano nel letto e scoprono l’intimità, hanno il loro primo rapporto. Intuisco che sta per arrivare il momento clou del rapporto, perché così, inutilmente viene inquadrato l’oceano (il tutto per mezzo secondo) un'onda s'infrange sulla battigia. Si poteva usare metafora peggiore: si può? Davvero? Neppure il film più trash arriva a tanto. A sto punto potevano citare Scary movie! Lei al risveglio si guarda allo specchio e si sente donna. Donna con sensi di colpa. Ma no, si sta per sentire male, finalmente e a quel punto pensi: “dai che sta per morire e almeno diamo una bella defibrillata allo scorrimento narrativo”. Non vado oltre, se avrete modo e pazienza di scoprirlo, sono con voi, con il pensiero.

Guardatelo, se avete voglia di sentirvi immortali per un po’, perché questo film ha la capacità di dilatare il tempo, i minuti scorrono, ma sembrano essere ore. Ti offre la possibilità di vivere 1 ora e mezza in eterno! E’ tutto. E’ proprio tutto! Ah no, se volete, esiste anche il romanzo, magari quello è meglio!

lunedì 15 gennaio 2018

Gabriele Muccino Made in Italy - Come te nessuno mai

Come te nessuno mai è il secondo film realizzato da Gabriele Muccino nel 1999. Il film è un po’ uno specchio, tra i genitori e i figli.



Ambientato a Roma alla fine degli anni ’90, il film parte da un liceo, si decide di occupare; le ragioni sono poco chiare e ripetute a slogan “Contro questo sistema che ci vuole omologare”. L’occupazione finisce presto, dopo meno di 24 ore, i motivi sono poco reali, poco pratici. In questi giorni tumultuosi si svolge la vita di Silvio (Silvio Muccino, fratello del regista) e del suo amico Ponzi (Giuseppe Sanfelice). Silvio è innamorato di Valentina (Giulia Carmignani), la fidanzata del suo amico Martino (Simone Pagani), ma quest’ultima, durante l’occupazione, confessa a Silvio che i due sono in crisi.

Inizia il dramma: Silvio ci prova con Valentina, racconta tutto all’amico Ponzi, che in maniera ingenua e goffa lo fa sapere a tutta la scuola e ovviamente a Martino. In tutto questo, brevissimo triangolo amoroso (il tutto non dura più di un “mezzo bacio”, Valentina molla subito tutti e due per andare durante la notte con un altro), s’inserisce la dolce Claudia (Giulia Steigerwalt), amica di Valentina, “tradita” dall’amica, perché bacia il ragazzo che le piace. Come non sentirsi Claudia? Io mi sono sentita spesso Claudia, senza il lieto fine però.

Oltre ai conflitti sentimentali, nel film vi è il conflitto tra genitori e figli, un conflitto generazionale che vuole emulare quello creatosi nel ’68, fallendo miseramente, non il film, ma il conflitto.

Il film, secondo un mio personale punto di vista, è il primo di una trilogia sulla realtà romana, si parte dall’adolescenza, con L’ultimo bacio abbiamo i trentenni e con Ricordati di me abbiamo la crisi di mezza età. Ho come l’impressione che idealmente vengano seguiti negli anni Silvio e Claudia, adolescenti, poi adulti e infine nella maturità e nel misero, ennesimo fallimento famigliare.

È il mio film preferito di Muccino ed in generale rientrerebbe in una mia ipotetica lista de “I miei preferiti”, lo è perché all’epoca della sua uscita io avevo più o meno l’età dei protagonisti, vivevo immersa nel mito del ’68, partecipavo alle manifestazioni, e anche nell’abbigliamento ero un po’ come i protagonisti, era un film che mi parlava, mi raccontava, rappresentava l’adolescente italiano, potevo riconoscermi in qualcosa che non fosse americano.

Il film è nettamente superiore rispetto al precedente, Ecco fatto, diciamo che è una versione più raffinata del primo, i personaggi diventano più elaborati, gli attori sono più bravi, il linguaggio è molto più chiaro e preciso e si sbraita meno.

Sarò un po’ di parte, ma secondo me è il più riuscito.

venerdì 12 gennaio 2018

Il mio Godard, la decostruzione di un genio

Dopo The Artist (2011), che celebra l'epoca del cinema muto, Michel Azanavicius omaggia la nouvelle vague e uno dei suoi fondatori, Jean-Luc Godard.



Il mio Godard (titolo originale, Le Redoutable), parla di un preciso e breve periodo della vita pubblica e privata da Jean-Luc Godard: dal 1967 e il 1969. In quegl'anni il regista fu sposato con l'attrice Anne Wiazemsky la quale ha collaborato al soggetto del film.

La trama della pellicola si articola su due piani. Abbiamo da un lato la vita privata, ovvero il matrimonio con Anne, una delle sue muse (vediamo ad inizio film le riprese di La cinese). Dall'altro lato c'è la  vita pubblica; Godard, da vero rivoluzionario è tra i primi ad unirsi alle rivolte studentesche del '68, in quel clima di fermento il regista inizia a pensare di rivoluzionare il suo metodo di regia. 

L'omaggio che Azanavicius fa ad uno dei padri del cinema contemporaneo è pop e sopratutto ironico.
L'intento del regista non è di celebrare Godard, ma di fornirci un ritratto buffo, di de-costruire il genio dietro i grandi film. 
L'aspetto formale del film è molto pop, scenografie dai colori saturi, una fotografia che esalta i contrasti dei toni pastello di cui il film è impregnato e che ricorda quella di Il disprezzo (1963). 
Nella pellicola ritroviamo piccole grandi citazioni dal cinema di Godard; dalle carrellate sulle strade di Parigi al montaggio discontinuo presenti in Fino all'ultimo respiro fino alla ripresa della celebre scena di Nana che piange al cinema guardando La Passione di Giovanna d'Arco di Dreyer in Questa è la mia vita

Nei panni di Jean-Luc Godard troviamo Luis Garrell, che torna tra le rivolte del 1968 dopo The Dreamers (Bernardo Bertolucci, 2003). Al suo fianco Stacy Martin che interpreta Anne Wiazemsky.
E' interessante notare come nel film non siano presenti gli altri registi della nouvelle vague, ma ci sono due bei ritratti di grandi registi italiani, Bernardo Bertolucci e Marco Ferreri, rispettivamente interpretati da Guido Caprino e  Emmanuele Aita.

Un film molto divertente e affascinante anche per i non cinefili (non fatelo sapere a Godard, potrebbe arrabbiarsi).




mercoledì 10 gennaio 2018

The end of the f***ing world - nuova serie Netflix da non perdere

 
Se cercate una serie veloce e piacevole da guardare, dissacrante e originale, con puntate da 20 minuti l'una The end of the f***ing world fa al caso vostro.
La serie britannica firmata Netflix segue le pazze vicende di James (Alex Lawther, già visto in una puntata di Black Mirror) e Alyssa (Jessica Barden), due diciassettenni a dir poco problematici. Il primo è "abbastanza sicuro" di essere uno psicopatico, non prova emozioni, risponde per lo più con "si" o "no", Alyssa è in lotta con la madre e il patrigno, desiderosi di vivere la loro vita tranquilli con i loro gemellini perfetti, senza il peso di una ragazzina a dir poco ribelle.
Dal loro incontro atipico e casuale nella mensa della scuola nasce un road movie esplosivo che porterà i due a combinare qualche piccolo (e un grosso) guaio durante la loro mirabolante fuga dalle rispettive famiglie.
La forza della serie sta nel sottolineare la grande differenza fra le azioni dei ragazzi e ciò che passa loro per la testa: le voci fuori campo delle loro riflessioni mostrano insicurezza, umanità e maturità; aspetti neanche lontanamente immaginabili dagli adulti che osservano i loro comportamenti.
La mirabolante fuga, come ogni viaggio che si rispetti, porta a profondi cambiamenti nell'animo dei ragazzi, facendoli scontrare con le immagini del proprio passato e sviluppando la consapevolezza del rapporto con l'altro (da notare come nelle prime puntate i due non riescano nemmeno a guardarsi negli occhi).
Non me la sento di dirvi di più, meglio lasciarvi al piacere della visione. La serie è ideale per un bel bingewatching.



lunedì 8 gennaio 2018

I miei film del 2017

Il 2017 ci ha dato dei film bellissimi che non dimenticheremo con la super-sorpresa Get Out.


Questa è la mia personalissima classifica di fine anno; i titoli che compaiono non sono solo le pellicole ritenute “perfette” ma comprendono tutti quei film che considero importanti perché aggiungono qualcosa di nuovo allo storytelling e alla tecnologia del cinema.


Another Day of Sun e la colonna sonora di La La Land (Damien Chazelle) hanno accompagnato tutto questo 2017.



Silence di Martin Scorsese  (uno dei miei registi preferiti) non è collocabile; narra una vicenda persa nel tempo e che per 36 anni il filmmaker newyorkese ha cercato di portare al cinema. Forse non è il suo migliore film, sicuramente è qualcosa di raro e prezioso.

Aggiungo il link dell' intervista a Martin Scorsese di Antonio Spadaro pubblicata su Civiltà Cattolica, il 24 dicembre 2016.


Uno dei miei registi preferiti (Christopher Nolan, un'altro) ha raccontato la battaglia di Dunkirk e ha scritto una pagina di Cinema. (Forse) il film più bello dell'anno.
La fantascienza con Arrival e Blade Runner 2049 diretti da Denis Villeneuve.

L’animazione giapponese ci ha donato un gioiello raro, Your name. Con quest'ultimo film Makoto Shinkai si è dimostrato un grande narratore e sognatore, finalmente ha conosciuto la fama internazionale che merita (Sonia vi esorta a vedere i film precedenti, uno fra tutti Il giardino delle parole)


Get Out (Jordan Peele) e Il diritto di contare (Theodore Melfi) mostrano l’America di oggi razzista e con un debito storico verso gli afroamericani. 

Il titolo originale Hidden Figures (Il diritto di contareindica quel gruppo di donne di grandi capacità dimenticate dalla storia, donne che con il loro lavoro hanno portato l’uomo sulla luna. 
Link all'articolo di The Hollywood Reporter su making-hidden-figures
Get Out: il genere horror con le sue convenzioni riesce a mostrare la società come è realmente; la manipolazione e l’ipocrisia sono al centro dei rapporti umani.




Manchester by the Sea  (Kenneth Lonergan) mi ha completamente sconvolto, è bellissimo e autentico. Dolore, senso di colpa e fustigazione (tutto molto cattolico, la religione praticata dai protagonisti è il Cattolicesimo); un padre riesce a tornare a essere un padre.

Sorprese di fine d’anno: Murder on the Orient Express (Kenneth Branagh) e Star Wars – The Last Jedi (Ryan Johnson)



Menzione speciale a I Am Not Madame Bovary di Feng Xiaogang visto alla straordinaria edizione di quest'anno del Far East Film Festival di Udine 
Link www.fareastfilm.com






Probabile dialogo tra Tony Stark e Dr. Strange in Infinity War