venerdì 29 dicembre 2017

Speechless e Atypical: quando la diversità, non è diversa!

L’inverno avanza, da qualche anno ormai, inverno è sinonimo di serie tv o serie web, visto che sto per parlarvi di un telefilm prodotto pensate un po’ da chi??? Netflix ovviamente. Da quando non abito più con i miei, seguo meno le serie di Fox- Sky e molto di più tutto quello che è reperibile via internet. La serie Atypical ha debuttato nell’agosto 2017 e io l’ho guardata quasi una settimana dopo l’uscita. Ho fatto tutti i compiti delle vacanze, calcolando che ne ho guardate 3, non avevi nulla da fare? Si, avevo da fare, ma il mio lavoro faceva il riposino pomeridiano, quindi avevo un piccolo buco da coprire, ogni giorno. 


Ho letto dell’esistenza di Atypical su un gruppo Facebook di fans (vorrei usare fanatici, ma ho paura che possa suonare male) di 13 Reasons Why. La storia è atipica, proprio come il suo protagonista e il nome della serie. Poco prima di avventurarmi in Atypical, ho seguito (a casa dei miei, continuo a registrarmi delle serie) Speechlees. Avrei voluto inizialmente fare un articolo su entrambe, ma poi ho deciso di non farlo. 
Specchless è una serie molto divertente, è una commedia che racconta le vicende della famiglia DiMeo, il nucleo familiare è composto da: Madre (Minnie Driver), Padre (John Ross Bowie, già visto in Big Bang Theory), tre figli (Mason Cook, Micah Fowler, Kyla Kenedy) e un sesto componente esterno, Kenneth (Cedric Yarbrough), l’assistente/ voce di J.J. La serie ricorda molto Quasi Amici, l’assistente del ragazzo è un attore Afroamericano, e come potrete intuire dal parallelismo J.J. non è completamente autonomo, perché affetto da una paralisi celebrale infantile, sedia a rotelle e tavoletta alfabetica per comunicare con gli altri.  
Ci sono molti punti di contatto tra le due serie e una fra tutte solo le due sorelle. Dylan (Speechlees) e Casey (Brigette Lundy-Paine, Atypical) forti, atletiche, sportive, per certi aspetti anche mascoline, trattano i fratelli, bè come fossero dei fratelli. Come dovrebbero trattarli? Ci sono già le madri ad essere iperprotettive.  
Il protagonista di Atypical è Sam (Keir Gilchrist) è un adolescente affetto da autismo e vuole essere in tutti i modi un “tipico adolescente” e innamorarsi. Chi conosce un minimo la sindrome (ne esistono diversi aspetti e nessuno e uguale ad un altro, proprio come tutti noi, ogni persona è unica e uguale solo a sé stessa) sa quanto possa essere difficile esprimere e capire i sentimenti di chi ne è affetto.  Ma Sam vuole avere una fidanzata ed innamorarsi. Frequenta con una certa regolarità Julia (Amy Okuda), una giovane terapeuta, che lo spinge all’auto comprensione e lo stimola ad affrontare la vita. 
L’altra presenza maschile della famiglia è il papà di Sam (Michael Rapaport), un uomo in difficoltà a gestire la situazione. Tra i due è molto faticoso comunicare e capirsi. Almeno all’inizio. Come già accennavo nell’articolo su Fino all’osso, anche qui la questione viene affrontata con onesta ironia (strano a dirsi, visto che Sam non capisce l’ironia) un altro aspetto dell’adolescenza, spesso, per non dire sempre lasciato in disparte. Per me è un po’complicato scrivere di questa serie, ho paura che il mio pensiero possa essere mal interpretato. Quindi parto subito con il dire che ho adorato Sam, tutte le otto puntate e quasi tutti i personaggi. Tranne Elsa (Jennifer Jason Leigh), la madre di Sam. Lei mi ha messo proprio un nervoso addosso, non sono riuscita proprio a provare empatia per lei. Non è una cattiva mamma, anzi, proprio il contrario, si fa in quattro per i suoi figli. La contesto come moglie.   
La serie è un po’ Diario di una nerd super star e Faking It- Più che amiche, ironica, a volte un po’ cinica e divertente. Mi è piaciuto molto la volontà di portare lo spettatore dentro Sam, soprattutto quando nei momenti di confusione e smarrimento del ragazzo in qualche modo visivamente viene rappresentato come si sente, le luci diventano confuse, tutto si muove in maniera vorticosa e i suoni diventano poco definiti e alterati. Per otto episodi riesci sentire Sam, a viverlo, riesci ad entrare in sintonia con il suo mondo, con la sua vita, con le difficoltà ampliate di un giovane ragazzo, che vuole in tutti i modi vivere la sua età, indagare i sentimenti aiutato da uno strampalato amico, Zahid (Nik Dodani), troppo simpatico, nella sua convinzione di essere un fico (e credetemi, non lo è per niente, almeno per la sottoscritta).  Ora aspetto con ansia la seconda stagione, l’ultima puntata ha lasciato troppe questioni aperte e sono molto curiosa di proseguirla.  


mercoledì 27 dicembre 2017

Star Wars: Episodio VIII – Gli Ultimi Jedi

(Star Wars: Episodio VIII – The Last Jedi, Rian Johnson, 2017)

La resistenza è al limite delle forze e il generale Leia Organa cerca di tenere accesa la speranza. Mi sono commossa in ogni sequenza in cui c’era Carrie FisherLa principessa è divenuta generale. 
















Un film al femminile, un film di eroine: Leia, Ray (Daisy Ridley), Rose (Kelly Marie Tran) e il Vice Ammiraglio Holdo (Laura Dern).

Gli Ultimi Jedi è un film sull’accettazione del fallimento, su quello che non vogliamo vedere e sui errori che non vogliamo accettare.



Al termine di Il Risveglio della Forza, Ray porge una spada laser a Luke e in lui crede di trovare le
risposte che ha cercato da tutta la sua vita. Le risposte le troverà in se stessa e nella sua controparte maschile e oscura, Kylo Ren (Adam Driver), o meglio Ben Solo.




La trama è tipica della saga di Star Wars, il Lato Oscuro cerca di sopraffare la Forza; non voglio spoilerare su “Chi sono gli ultimi Jedi?” o altri dettagli che fanno la differenza tra i vari capitoli della saga; il film mi è piaciuto, è avventuroso, è romantico e...
la Forza sia con noi.

Fonti
Behind the Clapperboard (www.facebook.com/pg/Behindtheclapboard/posts/?ref=page_internal)

martedì 19 dicembre 2017

The Crown: la 2° stagione non delude

Attendevo con ansia la seconda stagione di The Crown, la serie prodotta da Netflix incentrata sulle vicissitudini della regina Elisabetta II.

 

Me la volevo gustare con calma, assaporando le scenografie maestose, i dialoghi austeri e pregni di atmosfera british. Inutile dire che l'ho divorata puntata dopo puntata.
L'interpretazione di Claire Foy (la regina) evolve insieme alla consapevolezza di Elisabetta nello svolgere il suo ruolo. Elisabetta fa appena in tempo a vestire comodamente i panni della regina che le cose intorno a lei cambiano. Le persone appartenenti alla cerchia reale si scontrano con la sua figura, in particolare il marito e la sorella.
La primissima scena ci mostra un dialogo con il marito Filippo riguardo al loro matrimonio: "non è come lo immaginavamo". Da qui la serie compie un flashback di 5 mesi, poco prima della partenza di Filippo per un viaggio a bordo di uno yacht della marina fra le acque del Pacifico. Le puntate successive ci mostrano le ripercussioni della distanza fra i due, e in particolare la liberazione che Filippo prova lontano dalla casa reale. Mai come in queste puntate lo vediamo spensierato e sorridente, intuendo un po' meglio il suo carattere e le sue azioni. Mi è sembrata una ben fatta e interessante apertura di stagione.
Filippo non è il solo a faticare nel trovare la propria identità, anche la sorella Margareth non regge l'ambiente soffocante delle sale di Buckingham Palace e l'immagine idealizzata che le attribuiscono; cerca svago in gente "normale", che riesca ad instaurare un rapporto più vero, autentico e "sfacciato" con lei. La serie ci racconta del suo rapporto con il fotografo s,Antony Armstrong-Jones, uomo licenzioso e privo di freni, tutt'altra storia rispetto al colonnello Peter Townsend.
La parte divertente per me rimane sempre il "post-puntata": cercare nel web informazione, foto o video dell'epoca ripercorrendo l'evento raccontato e confrontandolo con la realizzazione.
L'intera stagione copre un arco temporale di nove anni, più o meno come la prima, anche se stavolta i salti da una puntata all'altra risultano forse un po' meno soft dei precedenti.
Non ci resta che aspettare trepidanti le prossime puntate, vedremo un cast completamente rinnovato che ci accompagnerà fino alla quarta stagione. 
Questo sarà il nuovo volto della regina, l'attrice britannica Oliva Colman. Curiosi quanto me di vederla all'opera?


sabato 16 dicembre 2017

Un Natale da FilmLovers - L'apprendista di Babbo Natale e il fiocco di neve magico



Se Babbo Natale un bel giorno decidesse di andare in pensione e lasciare il suo incarico ad un ragazzino, secondo voi, cosa accadrebbe?
Una magica avventura condurrà il giovane Nicolas a diventare il nuovo Babbo Natale, intraprendendo un viaggio interiore di crescita straordinario, pieno di nuove responsabilità e pericoli.


Film di animazione francese che vede alla regia Luc Vinciguerra, mentre alla sceneggiatura Alexandre Reverend e David Freedman. Questa pellicola ha origine da una serie televisiva del 2006, successivamente divenuta un film nel 2010 (L’apprendista di Babbo Natale) di cui hanno poi realizzato un sequel nel 2013, ovvero L’apprendista di Babbo Natale e il fiocco di neve magico. Seppure si tratta di un sequel, il film può essere visto tranquillamente senza dover recuperare gli altri. Ah, tra l’altro, è al momento disponibile su Netflix!

Che dire... Fantastico. Da troppo tempo non guardavo un film sul Natale che fosse così piacevole, dico davvero. Lo stile grafico è fenomenale! L’effetto pastello trasmette una sensazione di calore, familiarità e pace che, unito al tratto morbido del disegno e ad una narrazione agile e semplice, crea una sequenza di immagini così naturale da far tornare bambino anche lo spettatore più anziano.
Il lavoro fatto dagli sceneggiatori è stato grandioso: Sono riusciti a mischiare la giusta dose di malinconia con un umorismo semplice ed efficace, che fa sorridere tutti genuinamente e gratuitamente. Nonostante sia uscito nel 2013, poco tempo fa, L’apprendista di Babbo Natale e il fiocco di neve magico esprime una velata denuncia verso le nuove generazioni di bambini che non desiderano più veri giocattoli, ma, purtroppo, cellulari di ultima generazione e videogiochi. Gli autori hanno adoperato la coraggiosa scelta di realizzare un film moderno senza il bisogno di inserire gli elementi sopra citati, tanto che, durante la visione, per la loro assenza quasi te ne dimentichi anche tu; Appunto, torni bambino, riscoprendo il piacere di divertirsi con poco e di voler bene alle persone che hai accanto.

venerdì 15 dicembre 2017

Un Natale da FilmLovers - Rent

Quando abbiamo pensato di scrivere dei nostri film di Natale ho proposto subito Rent, film di Chris Columbus del 2005, non perchè sia un film che trasmettono in TV a Natale ma perchè è un film che è ambientato anche a Natale e che ci parla dell'importanza dei sentimenti sui beni materiali. Non è un film allegro, però ci sono alcune scene divertenti e penso che colga comunque lo spirito.


Rent è la trasposizione in chiave moderna della Boheme di Puccini nonchè uno dei musical più importanti degli ultimi decenni. I protagonisti della Boheme erano gli "artisti" della Parigi di fine Ottocento, pittori, poeti, cantanti di varietà, in Rent troviamo quelli di New York di fine Novecento, registi, cantautori, performer e tanto altro. Cosa resta dell'opera di Puccini? la vita da squattrinati Bohemien, il grande amore di Rodolfo e Mimì e anche un po' i "Cieli Bigi...".

Rent inizia la sera della vigilia di Natale in un loft nella periferia di New York, i due coinquilini, Mark (Anthony Rapp) e Roger (Adam Pascal) sono rispettivamente un aspirante regista che vive in simbiosi con la sua telecamera da superotto e un cantautore ex tossico dipendente malato di AIDS. Il palazzo dove vivono sta per essere venduto e rischiano lo sfratto, il proprietario Benny (Taye Diggs) li lascia senza elettricità e caso vuole che Mimì (Rosario Dawson), ballerina di lap dance anche lei malata di AIDS, entri nell'appartamento di Roger in cerca di un fiammifero per accedere una candela. Ovviamente tra i due scatta l'amore ma le loro condizioni di salute non li lascia liberi sai loro fantasmi.
Mark è stato sposato con Maureen (Idina Menzel), performer sui generis che ora sta per sposarsi con Johanne (Tracy Thoms).
C'è infine Tom Collins (Jesse L. Martin), amico di Mark e Roger, che viene salvato dal pestaggio da Angel Dumott Schunard (Wilson Jermaine Heredia) una drag queen.
Rent segue l'anno di vita di questo gruppo di amici fino alla vigilia di Natale dell'anno seguente.

La colonna sonora è tra le prime a staccarsi dallo stile del musical puro per arrivare al pop. Il cast originale includeva alcuni tra gli artisti più importanti del panorama del musical americano dei nostri anni, come Idina Menzel, Antony Rapp e Taye Diggs.

Rent è uno dei musical più commoventi di sempre, un po' per la sua trama un po' per la sua storia.
Scritto e composto da Johnatan Larson, Rent è stato il capolavoro di un artista che purtroppo non è riuscito a vederne il grande successo (Larson è morto il giorno dopo la prima).
Nato nel 1996 come spettacolo Off Broadway, Rent parla al suo pubblico, quello che frequenta l'ambiente di cui si parla nello show, e soprattutto agli altri. 







mercoledì 13 dicembre 2017

Assassinio sull'Oriente Express

(Murder on the Orient Express, Kenneth Branagh, 2017)



La vicenda è nota, perciò non c'è il pericolo di spoiler.


Adoro Kenneth Branagh e i suoi adattamenti da William Shakespeare; è anche il regista del primo Thor (ha consigliato a Tom Hiddleston di fare il provino per il film).

Branagh interpreta Hercule Poirot, il detective belga creato da Agatha Christie e protagonista di una serie di romanzi, la narrazione seriale è garanzia di sequel (Assassinio sul Nilo).

Il romanzo pubblicato nel 1934 parte da un vero fatto di cronaca accaduto in America, il rapimento e morte di Daisy Armstrong, la figlia del noto aviatore John Armstrong e la successiva tragica fine di tutta la famiglia.
La scrittrice inglese usa le grandi capacità d’analisi del detective, la sua impotenza/senso di colpa e il suo ateismo “Dio è sempre occupato!” per trovare l’assassino. Le certezze iniziali di Hercule sulla realtà, sul bene e sul male, sul giusto e sbagliato espresse all’inizio del film mutano sino a trasformarsi in dubbi e il film termina con una bugia a fin di bene, una manipolazione della realtà, e la ricerca di pace per i coinvolti; per me è impossibile non pensare a una lettura shakespeariana ossia una visione della realtà in cui non c’è bianco o nero, ma solo tantissimi grigi.
Branagh ha il dono del cinema e mette in mostra i suoi trucchi come neve e baffi finti per portare nella storia qualcosa di nuovo; la macchina da presa si muove molto attorno ai vagoni e dentro le carrozze, le carrozze ospitano i passeggeri e i passeggeri ospitano il loro incubi e le loro sofferenze.

Kenneth Branagh Fonte IMDb 

lunedì 11 dicembre 2017

Netflix: To the bone (Fino all'osso).

To The Bone (Fino all’osso) è un film scritto e diretto da Marti Noxon, con Lily Collins e Keanu Reeves. Prodotto Netflix; e a proposito vi dirò che mi piace il coraggio di Netflix, affronta tematiche, che molto spesso vengo lasciate solo ai generi drammatici, dove o piangi oppure non arrivi mai alla riflessione.
In questo film si parla di anoressia e, di altre malattie alimentari, o come li chiama il dottore Beckam (Reeves) “Problemi” alimentari.
 Ma passiamo alla trama, il film inizia con Ellen (Collins) ricoverata in un ospedale, o centro di recupero, dall’aspetto ospedaliero, è arrabbiata e verbalmente aggressiva. Fino all’osso non inizia raccontando come si entra nella malattia, come si affronta e come si guarisce. No, racconta come si cerca di reagire. Dal film passa, giustamente, che non esiste un reale motivo per cui si entra nel problema.

 Tutto inizia quando Ellen è già ad uno stadio molto avanzato. Questo è il terzo tentativo di aiutare la ragazza, da parte dei familiari, che falliscono, di nuovo. Così la compagna del padre decide di fare un ultimo tentativo e portarla dal migliore, il Dottor Beckam il quale cerca di aiutare i ragazzi con metodi poco convenzionali, cercando di aggredire la “malattia”, dando stimoli ai ragazzi perché possano capire che bisogna reagire e vivere, che vale la pena vivere, anche per un solo motivo, facendoli vivere tra delle mura domestiche. Ellen entra così nella grande casa (la clinica Threshold), con lei ci sono altri 6 ospiti, 5 ragazze e Luke, un ballerino.
I motivi che hanno portato Ellen ad entrare nella spirale mortale? Sembrerebbero molti: l’assenza del padre (non lo vediamo mai nel film, troppo impegnato a lavorare o a non voler vedere la figlia morire), una madre che ha subito una depressione post parto, che stando alle parole di Susan, la compagna del padre, è “Lesbica e bipolare”, e infine Susan che ha un modo un po’ “povero” di prendersi cura di una ragazza troppo problematica, logorroica e spesso fuori luogo però a modo suo tenera. Prova in tutti i modi a salvare quella figlia che non ha scelto (ma i genitori scelgono i figli?).
Poi c’è un altro motivo, apparente, che però non vi dico, altrimenti leggete solo la recensione e non guardate più il film, che a mio avviso dovete vedere e che, dovete far vedere, soprattutto ai ragazzi.
Ultimamente abbiamo un po’ abbassato la guardia verso alcuni problemi, non dobbiamo farlo, ma essere continuamente allertati, non con l’ansia ovviamente, ma un bel modo per affrontare certe questioni è questo: la commedia, aprire il dibattito con il sorriso amaro. Dovrebbe essere visto nelle scuole, perché affronta la malattia con onestà, con schiettezza, senza tanti giri di parole arriva al nocciolo della questione: non ci sono aiuti efficaci, se tu non vuoi uscirne e non ti vuoi bene.
Sembra retorica, ma è la verità, l’individuo è al centro di tutto; Ellen per vivere deve diventare Ilay (capirete guardando), deve essere sé stessa, fuori dalle convenzioni familiari. Sono gli obblighi verso gli altri il vero motivo che spingono le persone al masochismo?

È la sorella di Ellen, Kelly, che ci conduce velatamente a questa lettura; secondo Kelly, Ellen vuole diventare brutta, un mostro, per spaventare le persone, per allontanarle, anzi, per rappresentare fisicamente quello che gli altri pensano di lei. Il giudizio altrui soffoca la fragile Ellen, solo quando imparerà a guardarsi con i propri occhi, riuscirà a trovare la forza di incamminarsi verso la strada della guarigione. 

sabato 9 dicembre 2017

I miei film di Natale

Questo è il mio post natalizio e vorrei condividere alcuni film che sin da quando sono bambina vedo durante questo periodo e sono sinonimo di “Natale”. Sono film differenti tra loro e non hanno un legame diretto con il periodo delle festività. Cose diverse che mi riempiono il cuore.



Ecco i miei film di Natale!

Edward Mani di Forbice, la fiaba di Tim Burton narra di Edward un ragazzo costruito dal padre/creatore con pezzi e con le forbici al posto delle mani. La morte del padre è sopraggiunta lasciando Edward solo e incompleto. Probabilmente non c'è un posto nel mondo per questo freak e noi tutti a Natale ci sentiamo un po'soli.


Young Sherlock Holmes (Piramide di Paura in Italia), il mio primo Sherlock Holmes cinematografico. Da bambina ho scoperto che Sherlock ha avuto una storia d'amore che gli spezzato il cuore e il rapporto con John è iniziato sui banchi di scuola.


Una leggenda metropolitana vuole che prima di Una poltrona per Due non esistesse il Natale. John Landis insieme a Dan Aykroyd e Eddie Murphy, due dei più grandi comici americani, in uno storia che rappresenta con grande satira l'America capitalistica degli anni '80. A causa di una crudele scommessa  due tra le persone più diverse si ritrovano l’una con la vita dell’altro, uno scambio che sovvertirà le regole del gioco.


Canto di Natale, tratto da un racconto di Charles Dickens, nelle settimane delle feste guardo qualsiasi adattamento che passino in tv; da quello con i Muppet e Micheal Caine o con Zio Paperone che interpreta il suo alter ego storico, Scrooge. 




La Spada nella Roccia, Robin Hood e Dumbo. Tre film della Disney che non so per quale motivo la Rai trasmette sempre (o quasi) nel periodo natalizio e vicini l'uno all'altro. Le storie inglesi di Artù e Robin assieme a quella del cucciolo di elefante che fa di tutto per aiutare la mamma sono tra i film/ricordi della mia infanzia. Un bambino solo senza famiglia che trova nel gufo Anacleto e nel potente Merlino due amici; un ladro che protegge poveri e meno fortunati dalle angherie dello sceriffo di Nottingham e del principe Giovanni e attende il ritorno del suo re e un cucciolo con grandi doti nascoste, anche lui un piccolo freak.



The Sound of The Music (tit. it. Tutti insieme appassionatamente) e Mary PoppinsDue film, due musical con Julie Andrew; nel primo la giovane Maria s'innamora del Capitano Von Trapp interpretato dal affascinate Christopher Plummer e nel secondo diventa la governante più amata dai bambini, Mary Poppins.




Questi sono i miei film di Natale... Quali sono i vostri?

martedì 5 dicembre 2017

DARK - COSA BOLLE NEL PENTOLONE?

In una cittadina tedesca, quattro famiglie si ritroveranno direttamente coinvolte nella scomparsa di alcuni bambini avvenuta in circostanze paranormali. Una vecchia grotta nel mezzo della foresta e una centrale nucleare fanno da sfondo ad un racconto misterioso, drammatico e oscuro, dove la domanda giusta da porsi non è “come” siano scomparsi, ma “quando”...





Dopo l’ingresso made in Italy di  Suburra, Netflix fa esordire anche la Germania producendo la loro prima opera: Dark. Gli ideatori sono Jantje Friese e Baran bo Odar, quest’ultimo anche regista e sceneggiatore. La prima stagione è composta da dieci episodi dalla durata di circa un’ora ciascuno.

Veniamo al dunque senza perderci in troppe inutili chiacchiere: Se in un pentolone ci mettete Lost, Stranger Things, Wayward Pines, It e Twin Peaks, il risultato che ne viene fuori sarà Dark. Questo per dirvi che, purtroppo, la serie alla base non ha nulla di originale, anzi, molte volte la troviamo addirittura fin troppo stereotipata, per nulla singolare. Il tentativo di inserire una marea di informazioni e misteri, senza focalizzarsi bene su un unico obiettivo narrativo, la rende un’accozzaglia di cose che ben presto ci farà perdere il filo della storia, spesso confondendosi tra i personaggi o più semplicemente scordandosi il perché di alcuni avvenimenti. Lost è stata chiaramente la loro musa ispiratrice, dall’ideazione dei personaggi, sopratutto l’antagonista, allo svolgimento della trama, mentre Twin Peaks per l’ambientazione (e non solo) e Stranger Things per l’atmosfera.

Secondo me, Dark non diventerà mai una serie memorabile proprio per la mancanza di originalità; Avrei preferito di gran lunga qualcosa di più semplice, un’idea sola su cui concentrare tutte le forze e far leva su di essa. Molte volte si tende sempre ad esagerare, ad avere la pretesa di pensare che più cose mettiamo all’interno di un prodotto è più questo viene fuori splendente, ma non è così... 



Consiglio finale? Se cercate una serie televisiva di questo genere, non perdete tempo con Dark e guardatevi direttamente Lost (prime tre stagioni, capolavoro! Le altre sono dimenticabili) che andate sul sicuro!

Smetto quando voglio, Ad Honorem. La banda è tornata (per l'ultima volta)

Sidney Sibilia chiude la sua trilogia sulla banda di spacciatori più memorabile della storia del cinema italiano. Smetto quando voglio Ad Honorem è infatti l'ultimo episodio della prima vera saga cinematografica italiana. Ma andiamo per ordine...



Pietro Zinni (Edoardo Leo) è un ricercatore universitario che ha perso il lavoro, preso dalla disperazione mette su una banda per la produzione e spaccio di smart drugs (che ricordiamo, NON sono illegali). I suoi complici ovviamente sono tutte "le migliori menti in circolazione", due latinisti, un antropologo, un chimico, un economista e un archeologo, a cui si aggiungono, nel secondo episodio (Masterclass) un ingegnere e un medico. Tutti ovviamente disoccupati (o quasi). Messa così sembra davvero una banda di falliti e invece loro "non perdono mai, non vincono mai, però rompono sempre il cazzo a tutti". 
Questo terzo episodio inizia in uno dei momento clou della storia, il furto del cromatografo da parte del vero cattivo della saga Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio). Un anno dopo ritroviamo Pietro che cerca inutilmente di convincere chiunque lui incontri che c'è un pazzo senza nome che sta per compiere un attentato con il gas nervino, nessuno gli crede tranne Alice Gentili (Giusy Buscemi), una giovane blogger che gli lancia un indizio. Il luogo dove si trova il cromatografo è un ex tecnopolo dell'Università La Sapienza in cui lavorava anche una vecchia conoscenza della banda, il Murena (Neri Marcorè).
Pietro si fa trasferire al carcere di Rebibbia dove riesce ad incontrare il Murena e a capire cosa ha in mente Mercurio. Riunisce la squadra e li convince ad evadere per fermare il pazzo del treno... il resto è leggendario.
Se in Italia sta tornando forte il cinema di genere Sidney Sibilia fa letteralmente esplodere ogni barriera tra i generi cinematografici. In smetto quando voglio troviamo molta commedia, ma anche azione, romanticismo e una non tanto velata denuncia al sistema. 
Smetto quando voglio è una saga ma davvero sui generis, non ha una sequenzialità lineare, i tre episodi si incastrano tra di loro a formare un unicum narrativo molto compatto.
L'elemento più forte del film è la sceneggiatura, troviamo dei dialoghi brillanti, a volte addirittura esilaranti e anche un po' nerd che funzionano anche nelle scene più d'azione.
La fotografia è un po' il marchio di fabbrica della saga, talmente irreale da sembrare un trip allucinatorio.
Il cast è spettacolare come sempre; ogni personaggio è ben definito, complesso, ognuno ha la sua storia e ognuno un suo ruolo ben preciso nelle dinamiche della banda. I due cattivi, Lo Cascio e Marcorè, sono la perfetta nemesi della banda, cattivissimi e misteriosi da veri villains cinematografici.
 Farei una menzione speciale all'Alberto di Stefano Fresi; in tre film ha sintetizzato e dis-sintetizzato droghe, creato esplosivi, disinnescato bombe chimiche, cantato, ed è persino diventato un cartone animato e soprattutto mi ha ha fatto morire dalle risate... meglio di James Bond.

La banda dei ricercatori ci lascia ed è un po' come perdere di vista dei buoni amici, ma è giusto così... 

Un Natale da FilmLovers - Mamma, ho perso l'aereo

Per festeggiare questo primo Natale insieme, noi FilmLovers abbiamo deciso di non fare le nostre recensioni collettive con palle, pupazzi, alberi e pacchetti, ma di accompagnarvi verso le festività con ben due film a tema, natalizio ovviamente, ogni settimana.

L’ingrato compito di aprire questa favolosa carrellata natalizia spetta a me. Parto con i fuochi d’artificio, con i botti scoppiettanti di Kevin McCallister. Avevo mezza intenzione di parlare solo del primo, Mamma, ho perso l’aereo (Home Alone), ma è così carino e divertente pure il secondo, che non ci voglio rinunciare.


La trama è semplicissima, ma lo svolgimento è geniale: Kevin (Macaulay Culkin) viene dimenticato a casa dalla sua famiglia. I McCallister partono per passare il Natale a Parigi, ma il bambino, di soli otto anni, viene accidentalmente dimenticato in soffitta. La sera prima della partenza regna il caos, oltre ai 5 figli dei proprietari di casa, ci sono zii e nipoti vari, Kevin viene sempre bullizzato dai più grandi (diciamocelo, spesso se le va pure a cercare) ed è proprio nel momento della cena, che cade all’ennesima provocazione del fratello (Buzz, il maggiore, ma che a cervello si misura benissimo con quello del fratello minore), sua madre lo punisce mandandolo a dormire in soffitta da solo. Durante la notte scoppia un temporale, i fili della corrente si rompono e di conseguenza la sveglia viene scollegata. Il giorno dopo tutta la famiglia viene svegliata dagli autisti dei bus. A questo punto mi chiedo: come avrà fatto Kevin a non sentire tutta quella confusione ai piani inferiori? Ma che ce ne importa, Kevin non doveva salire su quell’aereo! Sempre la sera che precede la partenza, in casa arriva un finto poliziotto a controllare la situazione, in realtà è un ladro (Joe Pesci) che si sta assicurando sui giorni di assenza della famiglia. Il piccolo Kevin, scoprirà le intenzioni di Harry Lime (il ladro) e il suo complice Marv Merchants (Daniel Stern) e cercherà in tutti i modi di difendere la sua casa e anche sé stesso. Mentre a Chicago si svolgono le geniali peripezie del bambino, Culkin a mio avviso è bravissimo, riesce a tenere in piedi un film recitando da solo, solo all’inizio e verso la fine il bambino interagisce con gli altri, nella parte centrale combina malanni in solitaria.
Dall’altra parte del mondo c’è sua Mamma, Kate McCallister (Catherine O'Hara) che tenterà in tutti i modi di raggiungere il suo bambino, oltre ad essere ovviamente preoccupata per averlo lasciato solo e non avere sue notizie, non vuole che Kevin si svegli la mattina di Natale e si senta abbandonato proprio nel giorno della famiglia. Chissà che dispiacere per Kevin! E invece a lui la famiglia inizia a mancare, anche se litigano e lo trattano come il più piccolo della casa è la sua famiglia. Il primo film è uscito nel 1991, lo guardai in Vhs, lo so a memoria, è uno di quei film che guarderei sempre. Il bambino è fantastico, i due ladri assurdi, vogliono fare i cattivi, ma sono talmente ridicoli da essere esilaranti, c’è la redenzione, la commozione quando si scopre la storia dell’anziano, è il messaggio che non sempre le cose sono come sembrano, facciamo presto ad inventarci storie sugli altri, come facciamo presto a crederci a queste storie. Vorrei trovare dei difetti a questo film, ma non ne trovo, le battute del bambino mi lasciano ancora basita a distanza di 26 anni, ha delle trovate geniali, non posso usare termine diverso.

Il secondo, Mamma, ho riperso l’aereo, mi sono smarito a New York, non delude. Alla fine del primo i due ladri vengono arrestati e nel secondo vengono rilasciati. Gli elementi essenziali del film non cambiano, le dinamiche iniziali sono le stesse, lo spettatore si lascia cullare dagli elementi che già ha visto (diciamolo, molto paracula come scelta, che però ci sta benissimo).  In questo secondo film, Kevin finisce al Plaza di New York a differenza del primo film, qui il bambino interagisce con molti altri personaggi: i dipendenti dell’albergo, la donna dei piccioni (che sarebbe la versione femminile dell’anziano del primo film) e il proprietario del negozio di giocattoli. Kevin super eroe deve evitare che i due ladri rubino l’incasso del negozio Duncan, il proprietario vuole devolvere tutto in beneficenza per i bambini in ospedale. La madre in Florida cerca di raggiungere il figlio a New York. Anche qui la dinamica è semplice, chiara ed essenziale. Poi sono i piccoli dettagli a rendere anche il sequel di Mamma, ho perso l’aereo speciale.
Voglio concludere con una citazione, che è anche una dedica di Natale speciale per le mie amiche, ma soprattutto per la donna della mia vita,
Harry “Lo senti Marv?” 
Marv: “Cosa ?“ 
Harry “L’odore della libertà”
 Marv “Ma è pesce”
 Harry “E’ liberta” 
Marv “E’ pesce!”. Libertà o pesce? Chissà ;)

Dimenticavo, per chi volesse vedere che fine ha fatto Kevin, vi metto il link di un video di Youtube. Buona Visione!