(Murder on the
Orient Express, Kenneth Branagh, 2017)
La vicenda è nota, perciò non c'è il pericolo di spoiler.
Adoro Kenneth Branagh e i suoi adattamenti da William Shakespeare; è anche il regista del primo Thor
(ha consigliato a Tom Hiddleston di fare il provino per il film).
Branagh interpreta Hercule Poirot, il detective belga creato da Agatha Christie e protagonista di una
serie di romanzi, la narrazione seriale è garanzia di sequel (Assassinio
sul Nilo).
Il romanzo
pubblicato nel 1934 parte da un vero fatto di cronaca accaduto in America, il
rapimento e morte di Daisy Armstrong, la
figlia del noto aviatore John Armstrong e la successiva tragica fine di tutta
la famiglia.
La scrittrice inglese usa le
grandi capacità d’analisi del detective, la sua impotenza/senso di colpa e il
suo ateismo “Dio è sempre occupato!”
per trovare l’assassino. Le certezze iniziali di Hercule sulla realtà, sul bene
e sul male, sul giusto e sbagliato espresse all’inizio del film mutano sino a
trasformarsi in dubbi e il film termina con una bugia a fin di bene, una
manipolazione della realtà, e la ricerca di pace per i coinvolti; per me è
impossibile non pensare a una lettura shakespeariana ossia una visione della
realtà in cui non c’è bianco o nero, ma solo tantissimi grigi.
Branagh ha il dono del cinema e mette in
mostra i suoi trucchi come neve e baffi finti per portare nella storia qualcosa
di nuovo; la macchina da presa si muove molto attorno ai vagoni e dentro le
carrozze, le carrozze ospitano i passeggeri e i passeggeri ospitano il loro
incubi e le loro sofferenze.
Foto Behind the clapboard
Nessun commento:
Posta un commento