lunedì 30 ottobre 2017

Halloween, FilmLovers da brivido!

Per chi vuole trascorrere Halloween davanti allo schermo le FilmLovers vi consigliano un film ciascuna, cinque titoli molto diversissimi fra loro, per immergersi al meglio nell'atmosfera della notte più spaventosa dell'anno fra zombie, danze, streghe e vampiri.


Sonia consiglia Train to Busan (Sang-ho Yeun, 2016)


Film coreano con una delle trame più classiche per una serata horror: l'apocalisse zombie! L'ambientazione è claustrofobica, i protagonisti si trovano su un treno in cui una giovane donna inizia ad avere strane convulsioni: ben presto molti vagoni sono invasi da queste creature. Le città sono sotto assedio, il convoglio prosegue il percorso cercando di raggiungere una fermata in cui i passeggeri possano scendere sani e salvi. Si crea presto il gruppetto di survivors, capitanato dal finanziere divorziato Seok-wo e la figlia trascurata Su-an. Con loro una coppia che aspetta il primo figlio, due liceali e due anziane sorelle. Il regista sottolinea l'egoismo di molti personaggi coinvolti, specchio della società coreana, tipicamente gerarchica, dove un senzatetto riesce ad essere più spaventoso di un non-morto. Gli zombie però non fanno distinzione di classe e si accaniscono su tutto e tutti. Un film davvero godibile, che offre ciò che promette. 


Laura consiglia Il cigno nero (Darren Aronofsky, 2010)


Non sono fan degli horror puri, non ho visto It, non ho visto L’esorcista e sono uscita dal cinema dopo venti minuti di the ring, amo però molto i film sulla danza, anche perché l’ho praticata per anni. Motivo per cui vorrei consigliare Il cigno nero.
Il cigno nero è uno psico-thriller con molti elementi orrorifici. La protagonista Nina (Nathalie Portman) è una ballerina classica. Per la nuova stagione, la sua compagnia metterà in scena Il lago dei cigni e il coreografo, Thomas Leroy (Vincent Cassel) sceglie Nina per interpretare la protagonista del balletto. Per lei si prospetta un doppio ruolo, i cigno bianco, Odette e il cigno nero, Odile. Nina vuole essere perfetta ma sulla sua via incontrerà molti ostacoli tra cui Lily (Mila Kunis), una ballerina sua rivale, e la sua ricerca di perfezione la porterà oltre ogni limite.
In Il cigno nero, Aronowsky ci porta apparentemente nell’ovattato mondo del balletto ma, in realtà, ci conduce passo dopo passo verso l’abisso dell’anima della protagonista; un lavoro a contrasto tra la dolcezza iniziale della ragazza fino alla violenza finale, esplicitato dal contrasto tra il bianco e nero delle due mise da cigno.
Nathalie Portman in questo film è perfetta, nei panni della ballerina tanto disciplinata quanto problematica. 


Francesca consiglia Hocus Pocus (Kenny Ortega, 1993)


La mia scelta per questo Halloween 2017 è l’intramontabile Hocus Pocus della Disney.
Le tre sorelle, streghe Sanders rapiscono i bambini per ringiovanire, nel 1693 rapiscono Emily Binx, verranno catturate e condannate a morte, non prima di aver scagliato un sortilegio e trasformato il fratello di Emily in un gatto nero, condannandolo alla vita eterna. Le tre donne verranno risvegliate nel 1993 da un vergine la notte di Halloween.
Perché vederlo? Allora prima di tutto la regia è di Kenny Ortega, per chi non lo sapesse oltre ad essere regista è un coreografo e in Dirty Dancing c’è il suo zampino, poi ha anche diretto High School Musical, detto questo detto tutto.
Quando questo film uscii non era ancora del tutto in voga in Italia la festa di Halloween, iniziava a muovere i suoi primissimi passi, chi guardava questo capolavoro poteva sognare la magia che questa festa portava con sé. In questo lungometraggio ci sono tutti gli ingredienti per una serata perfetta: l’amore per i gatti, le lacrime, spiriti, magia, zombie, streghe, amore, solidarietà fraterna e un tuffo nostalgico in un’adolescenza ormai andata, quando i bulli ti rubavano le scarpe e non ti prendevano in giro sui social, quando prendevi una cotta per qualcuno e gli davi il tuo numero di casa e non lo stalkeravi su whatsapp.
Una volta era meglio? Avrei molte altre cose da dire, ma i caratteri stringono! 


L.R. consiglia The Witch (Robert Eggers, 2015)


Il film d’esordio di Robert Eggers, The Witch, è un horror di ottima fattura che si distingue nel panorama cinematografico. La vicenda si svolge in epoca puritana, in un’America del diciassettesimo secolo. La famiglia di William (Ralph Ineson) è cacciata dalla comunità a cui appartiene, trovandosi costretta ad addentrarsi in un territorio sconosciuto per costruire una nuova fattoria. Questa viene edificata vicino ad un bosco, luogo selvaggio, tetro e isolato. Da subito le disgrazie si abbattono sul piccolo nucleo familiare, che tenta di sopravvivere contando solo sulle proprie forze. La sparizione del bambino appena nato, Samuel, e la presenza di una strega che si aggira nella foresta circostante, sono solo i primi fatti inquietanti e maligni che contrappuntano la vicenda. La tensione e la paura però non sorgono soltanto a fronte di un’entità occulta che aleggia tra il buio fitto degli alberi, ma scaturiscono anche all’interno della stessa famiglia che pian piano viene corrotta dall’oscurità, scivolando in un baratro in cui sembra non esserci via di ritorno. Un horror che gioca tra un male esterno di origine diabolica e un male interno che risiede nell’uomo, risultando un’opera inquietante su tutti i fronti. Decisivo è il supporto di una fotografia raffinata che gioca con una luce tetra e le ombre, per proiettare lo spettatore in un clima angosciante. Notevole l’interpretazione di Anya Taylor-Joy nei panni della protagonista Thomasin. 


Stenia consiglia What we do in the shadows (Taika Waititi, Jemaine Clement, 2014)


Il vampiro è una creatura malvagia e senza anima che vive di notte nutrendosi di sangue umano. Negli ultimi anni l’immaginario legato ai vampiri è po’ cambiato: sono belli, sdolcinati, vivono alla luce del sole, frequentano il liceo, ecc, ecc; in questo post voglio scrivere di qualcosa di autentico, di un film che può mostrare la vita dei vampiri contemporanei, le creature della notte di What We Do in the Shadows (Taika Waititi e Jemaine Clement, 2014).
La vita di un gruppo di vampiri secolari viene raccontata dai due registi-sceneggiatori neo zeolandesi, Taika Waititi e Jemaine Clement, attraverso la convivenza di quattro succhiatori di sangue: Petyr, Vladislav, Viago e Deacon. L’allegra brigata è stata scelta (probabilmente) perchè composta da un campionario proveniente dai più differenti periodi storici e dalle personalità più diverse (i due non hanno dichiarato come sono riusciti a mettersi in contatto con i quattro). Petyr è il più anziano e inquietante, tanto da intimidire Viago che ogni giorno gli porta una gallina da mangiare, Vladisvlav lussurioso e affascinate che, per caso, ricorda Gary Oldman in Dracula di Brian Stoker (Francis Ford Coppola, 1992) e Viago, amante del divano lindo senza macchie di sangue. I due documentaristi si sono approcciati direttamente come Daniel Malloy in Intervista col Vampiro (Neil Jordan, 1994) attraverso lunghe interviste e passeggiate notturne. Credo che svelare tutti i contenuti di questo mockumentary (falso documentario) sia poco corretto da parte mia, la volontà di chi scrivere è farvi conoscere un film non distribuito in sala in Italia e amato in tutto il mondo; Taika Waititi è il regista di Thor Ragnarok, uno bravo e insolente.

domenica 29 ottobre 2017

Thor Ragnarok (Taika Waikiti, 2017)

Taika Waititi è un talento, tanto da beccarsi i complimenti via twitter dal regista-sceneggiatore dei “due Avengers”, Joss Whedon:

Thor Ragnarok mi ha divertito tantissimo; è pieno di parolacce e battute a doppio senso che giocano con le ambiguità o le troppe certezze dei film supereroistici e, in particolare, quelle del dio tuono. Aneddoto: un bambino (6-7 anni) presente in sala è uscito a metà film prendendo per mano il papà, il papà «Sei sicuro!?».
Thor Ragnarok è un film con Thor (Chris Hemsworth) e Loki (Tom Hiddleston) che si ritrovano a lottare dalla stessa parte contro Hella (Cate Blanchett), la dea della morte e loro sorella maggiore di cui non sapevano nulla, uno dei tanti segreti del padre Odino.
Poi, non si sa come sia arrivato in mezzo ai Nove Regni, salta fuori The Hulk. Per l’ennesima volta, i due principi devono difendere Asgaard e tentano di evitare il Ragnarok, il crepuscolo degli Dei nella tradizione della mitologia nordica, la fine di tutto nel film Marvel.
Il trailer mostra tutto e non racconta nulla, tanto da far pensare ai Guardiani della Galassia 3.
E finalmente dopo Age of Ultron (Joss Whedon, 2015), dopo due anni, si conosce la sorte del nostro eroe, l’Avengers più forte, The Hulk/Bruce Banner.
#teamThor

venerdì 27 ottobre 2017

STRANGER THINGS 2 – STRANA LA PRIMA!

Finalmente il giorno è giunto! Una delle serie TV più attese del 2017, ideata, scritta e diretta da Matt e Ross Duffer, meglio conosciuti come i Duffer Brothers, riparte con il botto catapultandoci nel 1984, esattamente un anno dopo i fatti accaduti nella prima stagione. Partenza con il botto?


Si, decisamente! Stranger Things 2 si apre con una puntata pilota indubbiamente avvincente ma che allo stesso tempo definirei strana, non in modo negativo, ma semplicemente perché ci vengono mostrate molte cose, tante piccole nuove scoperte che ti potrebbero far scervellare nel trovarci un senso. L'impresa più difficile, a mio avviso, sta nell’aver scritto questa nuova stagione senza renderla banale, dai risvolti scontati o prevedibili. Finisci di vedere la prima puntata e ti senti straniato, ansioso di andare avanti e con una sola frase che ti risuona in testa: “What the fuck...”

Ci vengono presentati nuovi personaggi, per il momento interessanti, e altri già conosciuti vengono approfonditi. L’atmosfera l’ho notata leggermente più tranquilla se paragonata alla puntata pilota della prima stagione, ma è comprensibile, d’altronde la storia riprende dopo un anno di pace (permettetemi di definirlo così), eppure si preannunciano risvolti cupi e inquietanti.

Dunque, adesso non resta che farci sanguinare gli occhi per la maratona no stop di tutta la stagione. Ci vediamo nel Sottosopra!

giovedì 26 ottobre 2017

IT – GALLEGGIA O FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI?

Premessa: Nonostante It sia il mio libro preferito, non paragonerò in nessun modo questo nuovo film con l'opera originale o con la precedente pellicola del 1990.

Con la regia di Andrés Muschietti, il bravissimo Bill Skarsgård nei panni dell'agghiacciante clown Pennywise, Jaeden Lieberher nel ruolo di Bill Denbrough e Finn Wolfhard (Stranger Things), questa nuova trasposizione cinematografica tratta dall'omonimo romanzo di Stephen King ha battuto record di incassi per il genere degli horror's movie, ma se lo sarà meritato?

Pennywise interpretato da Bill Skarsgård

It non è solamente una storia di paura, fatta di mostri e incubi, ma principalmente è un racconto di formazione, di amori, sfide, amicizia e delusioni. Il film parla di noi, di quel bambino che eravamo e di tutti problemi che abbiamo dovuto affrontare: Scendere in una lugubre cantina buia, entrare in una casa disabitata o relazionarsi con altre persone. Ma ci ricorda anche della spensieratezza, di quelle calde estati dove non volevi pensare ad altro che divertirti, stringere amicizie e provare nuovi amori. Tutti i personaggi sono scritti molto bene, seppur siano stereotipati, riescono ad avere ognuno un caratteristico segno distintivo che ce li fa apprezzare, senza risultare anonimi e noiosi.

I nostri protagonisti al completo!

Però il film non fa paura, o meglio, non abbastanza da quello che mi aspettavo. Ci sono più momenti comici che di terrore, cosa che in alcune scene fa perdere totalmente quella tensione che ti si era lentamente montata addosso. Mi aspettavo una scrittura più spietata; stiamo parlando di ragazzini, questo è vero, per indole sono più spensierati e meno tormentati degli adulti, ma comunque ho trovato eccessiva questa scelta.
Il Pennywise interpretato da Bill Skarsgård mi ha esteticamente convinto, ma l’ho trovato davvero ridicolo in alcune scene, sopratutto quando sorprende i nostri protagonisti con salti e acrobazie. So che i suoi movimenti innaturali dovrebbero farlo apparire ancor più estraneo e pauroso ma alcune volte lo rendono ridicolo.

Il film si conclude aprendo le porte ad un sequel (per chi conosce l’opera originale, sa di cosa parlo), infatti la New Line Cinema ha già confermato di esserne a lavoro dichiarandone l’uscita prevista per il 6 settembre 2019. Sono stati riconfermati Andrés Muschietti come regista, Gary Dauberman alla sceneggiatura e Bill Skarsgård come attore nelle vesti del malefico clown Pennywise.


Dunque, fa acqua da tutte le parti? No, il film galleggia bene (come noi d’altronde… Tutti galleggiamo…) ma consiglio a chiunque abbia letto il libro di andare al cinema senza far riferimento all’opera originale e semplicemente di gustarsi il film per quello che è: un valido prodotto.

lunedì 23 ottobre 2017

A cena con Ferzan Ozpetek - Allacciate le cinture (2014)

Sono stata molto indecisa sul quarto e ultimo film da trattare per questa rassegna, alla fine ho scelto Allacciate le cinture anche se, secondo me, non è il film più riuscito di Ozpetek. In Allacciate le cinture lo spettatore si perde nel tessuto temporale della storia e lo fa anche il regista. Probabilmente la sensazione di smarrimento è voluta anche in relazione al tema che tratta, l’amore, l’amore quello che nasce senza alcuna ragione effettiva, l’amore che c’è e non puoi fare nulla per spiegarlo. Ho scelto di parlarne appunto per questo, perché parla del sentimento amoroso nel modo più diretto e semplice possibile.


Elena (Kasia Smutniak) è forse la ragazza perfetta, bella, brava, sensibile, ha degli amici, Fabio (Filippo Scicchitano) e Silvia (Carolina Crescentini) che le vogliono bene, una madre (Carla Signoris) e una zia un po’ svalvolata (Elena Sofia Ricci), un lavoretto in un bar e un bel fidanzato, Giorgio (Francesco Scianna).
Quando Elena conosce Antonio (Francesco Arca), il fidanzato di Silvia, rude omofobo e razzista, qualcosa cambia in lei. I due si innamorano inspiegabilmente; c’è qualcosa tra di loro che nessuno capisce, forse neppure loro.
La storia riprende 13 anni dopo, Elena e Fabio hanno aperto un locale tutto loro, Il Benzinaio, e lei è sposata con Antonio. Tutto sembra andare bene – Antonio non è diventato un uomo migliore, anzi – quando Elena scopre di essere malata; la malattia della donna porterà a galla il sentimento che la lega a quel marito che pare non meritarla.
Il finale, molto enigmatico come sempre nei film di Ozpetek, ci riporta al passato.
Un film che vuole dirci molte cose, forse troppe, tanto da perdersene per strada. Ci sono momenti davvero toccanti, altri un po’ buttati lì. Personaggi che tornano e altri che restano dimenticati.
Come in molti film di Ozpetek, i personaggi femminili sono quelli più forti, oltre Elena troviamo molte donne. Oltre alla madre e alla zia, troviamo Egle (Paola Minaccioni), malata terminale che divide la stanza di ospedale con Elena, una creatura stralunata e un po’ sui generis, una donna che ha una voglia di vivere tale da essere commovente. Anche Maricla (Luisa Ranieri), l’amante di Antonio, è un bel personaggio; donna esuberante e diretta, alla gelosia per lo stesso uomo preferisce la solidarietà femminile verso Elena.
In questo film gli uomini non ci fanno una gran figura, Antonio è tutto ciò che una donna non vorrebbe al suo fianco, un gran brutto carattere che ci si chiede in continuazione come faccia Elena ad averlo come marito, Giorgio, il primo fidanzato, è un uomo senza personalità, bello, ricco e intelligente ma un po’ ingenuo. Si salva solo Fabio, l’amico gay, che pare essere l’unico al livello delle donne del film.
Se la struttura del racconto è labile, il punto di forza del film sono senza dubbio i monologhi. Sono dei momenti in cui la narrazione si interrompe per dare enfasi all’interiorità dei personaggi. È forse la voglia di esternare i sentimenti che ha portato il regista a creare una struttura della narrazione abbastanza incerta.

Ogni volta che vedo questo film sono combattuta, perché da un lato non capisco come mai Elena scelga Antonio, però d’altro canto penso che non scegliamo razionalmente chi amare, e più la nostra “coscienza” ci dice che è sbagliato più noi continuiamo ad amare. 

domenica 22 ottobre 2017

Libere disobbedienti Innamorate

Il film che vi racconto oggi, l'ho visto più di qualche mese fa, prima dell'estate.
Con il C.I.F (Centro Italiano Femminile) di Adria e il Politeama (il cinema cittadino) avevamo iniziato dall'otto marzo, con Florence, una serie di appuntamenti su film che parlavano di donne. La collaborazione aveva una natura aggregativa ed educativa.
La cosa però si è esaurita dopo tre incontri, non per colpa nostra o della gestore del cinema. Il problema è ben più grave e triste: il cinema è stato chiuso, e mentre il governo approva una legge che va proprio ad incentivare l'aumento delle sale cinematografiche, un paese di quasi 19.000 abitanti si ritrova a perdere l'unica sala che aveva, che funzionava benissimo e che ormai aveva instaurato con il gestore e i suoi collaboratori un rapporto di amicizia. Il film che ho preparato con le mie colleghe, per la cittadinanza adriese (quella sera però aveva Juventus-Barcellona da vedere in tv, perciò si è persa quella serata, a quanto pare Adria, se gioca la Juve, si ferma, manco fossimo a Torino).
Libere disobbedienti Innamorate (ogni volta mi viene da scrivere/dire Giovani carine e disoccupate, ma quello è più o meno un altro titolo). Allora, la trama è questa: tre ragazze, diversissime tra loro si ritrovano a condividere, per un breve periodo lo stesso appartamento a Tel Aviv.
Protagoniste sono le donne, a partire dalla regista e sceneggiatrice Mayasaloun Haumoud. Il film è una coproduzione Franco-Israeliana. L’ambientazione è la Tel Aviv contemporanea, immersa in locali notturni, alcool, droga e musica a tutto volume. La città viene rappresentata come una città occidentale, in cui la tradizione orientale si mescola alla cultura occidentale. La convivenza tra le due realtà, per molti aspetti in conflitto tra di loro, viene rappresentata dal rapporto che c'è tra le tre ragazze e le loro rispettive madri; quest'ultime sono saldamente ancorate nella tradizione, mentre le figlie sono in bilico tra la contemporaneità dei loro giorni e il bisogno di rappresentare i valori della famiglia. Da questo conflitto solo la personale identità delle tre riesce ad emergere e la loro commovente complicità.
Poi c'è la presenza maschile, l'uomo non è poi così tanto forte, come potrebbe sembrare ad un primo sguardo, non è attore protagonista, da un lato sembra fare da sfondo, dall'altro il maschilismo che incarnano rappresenta un imponente macigno sull'identità femminile. Questi non hanno la forza di annullare le donne, per questo motivo al termine del film (almeno per me), non li ricordi.
C'è la figura del padre di !? Che mi lascia un po' perplessa, quando guarda la figlia e sembra essere comprensivo con lei. Non so se si accorga che la figlia è cambiata, anche se lei continua ad avere il velo. Questo dubbio mi viene perchè nel film più volte torna una frase sull'abito, in poche parole l'importante è apparire. Il padre vede forse solo l'apparenza? O forse capisce il bisogno della figlia di essere compresa e confortata?
C'è un'altra cosa che mi ha molto colpito del film, il cibo, viene spezzato con le mani. Il cibo è l'archetipo del nutrimento, della donna che sfama, ma quando viene inquadrato, si ha come l'impressione che il cibo, sia qualcosa di sporco, di disturbante, assume sfumature quasi sporche e oserei dire di violenza, non c'è quell'aspetto gioioso e di condivisione che il cibo, molto spesso porta con sé, come ad esempio le tavolate di amici e parenti.
Il film mi ricorda molto il cinema europeo, in particolare le cinematografie francesi (c’è da ricordare che nella storia cinematografica israeliana sono forti le influenze del cinema francese).
Libere disobbedienti innamorate sarà il primo di una trilogia, ma i capitoli successivi non proseguiranno la vita di Layla, Nour e Salma, ma verranno approfondite altre storie, con altre donne.
Il film, mi è piaciuto moltissimo, in alcuni punti mi ha commosso per aver affrontato con coraggio e forza alcuni temi, solo la mano di una donna poteva raccontare con delicatezza una cosa così forte come la violenza sulle donne. Il finale è carico di intensità, privo di parole, ma solo sguardi e sospiri che condurranno le tre ragazze a perdersi nel mondo.

venerdì 20 ottobre 2017

A cena con Ferzan Ozpetek - Saturno contro (2007)

Se Mine vaganti è fondamentalmente una commedia, Saturno contro è forse uno dei film più drammatici di Ferzan Ozpetek. In Saturno contro il regista prova ad affrontare il tema della perdita di una persona cara; dico prova perché penso che nei suoi film lasci il momento della morte un po’ irrisolto, come se volesse mitigare il dolore dello spettatore e in qualche modo anche suo.


Sebbene Saturno contro sia un film corale, l’ideale protagonista del film è Lorenzo (Luca Argentero), pubblicitario omosessuale che vive con il suo fidanzato Davide (Pierfrancesco Favino). Una sera, mentre è a cena con il suo gruppo di amici, ha un malore e cade in coma. Le vite del gruppo di amici si intrecciano nella sala d’aspetto del reparto di rianimazione dove giace Lorenzo.

C’è Antonio (Stefano Accorsi), sposato con Angelica (Margherita Buy) che ha un’amante, Laura (Isabella Ferrari), ma non vuole mandare a monte il proprio matrimonio. C’è Giorgia (Ambra Angiolini) che riesce a cedere ad ogni cosa, oroscopi compresi, che si ritrova ad intessere un’amicizia con l’anziana infermiera di Lorenzo (Milena Vukotic), donna invece molto rigida e ligia alle regole. Ci sono Neval (Serra Ylmaz) e Roberto (Filippo Timi) una strana coppia tanto sensibile lui quanto sarcastica lei. Ci sono poi Sergio (Ennio Fantastichini) e Roberto (Michelangelo Tommaso), rispettivamente il più anziano e il più giovane del gruppo, ovvero colui che sa tutto e colui che non sa nulla degli altri. C’è infine Davide che deve fare i conti con i genitori di Lorenzo, che sembrano non capire che una vita assieme prescinda dal legame matrimoniale tra uomo e donna.

La narrazione delle vicende è fatta in modo tale che quando è vivo Lorenzo, uomo taciturno, ci sia un monologo interiore, mentre quando è in coma è come se guardi tutto dall’alto.  Anche senza di lui, i suoi amici si chiedono costantemente “cosa mi direbbe Lorenzo?”.

Per questo film Ozpetek sceglie una fotografia molto fredda, i toni del bianco, blu e grigio che si vanno ad opporre a quelli caldi usati solo per Lorenzo (che indossa una camicia rossa).

Il punto di forza di questo film è il cast. Ozpetek è riuscito a far lavorare assieme attori e attrici molto diversi tra loro. Ritroviamo la coppia Buy e Accorsi a qualche anno di distanza da Le fate ignoranti, insieme a Serra Ylmaz, attrice e amica forse più cara al regista. Ci sono attori già famosi come Pierfrancesco Favino e attrici quasi esordienti come Ambra Angiolini. La vera rivelazione di Saturno contro è probabilmente Luca Argentero. Un ruolo, quello di Lorenzo, abbastanza difficile per un attore quasi alle prime armi, e anche fuori parte per lui che è considerato uno dei sex symbol del cinema italiano, ma portato sullo schermo in modo impeccabile.


Cosa apprezzo di Saturno contro è la delicatezza con cui il regista ci pone di fronte ad un contesto fortemente drammatico e il finale (o quasi) che è tanto surreale quanto commovente. 

martedì 17 ottobre 2017

L'UOMO DI NEVE (Un film dimenticabile)

Un giovane ragazzo viene abbandonato dal padre violento e insensibile, con una madre instabile che decide di farla finita quando la situazione precipita, l'unica via di fuga per reprimere la propria rabbia la troverà nelle intense nevicate che lo accompagneranno lungo una strada fatta di sangue.
Diretto da Tomas Alfredson, basato sul romanzo best sellers di Jo Nesbø, vediamo come produttore esecutivo Martin Scorsese, il tutto accompagnato da un ottimo cast dove spiccano come protagonisti Michael Fassbender nei panni del disilluso detective Harry Hole e Rebecca Ferguson che interpreta Katrine Bratt, giovane poliziotta alle prime armi.

Le carte in tavola per realizzare un film memorabile c'erano tutte, ma qualcosina deve essere andata leggermente storta. Per non gettare solo fango (o neve in questo caso) comincerei complimentandomi con la fotografia lasciata nelle mani di Dion Beebe (vincitore dell'Oscar alla migliore fotografia nel 2006 per il film Memorie di una geisha) che ha generato un'atmosfera eccezionale sotto tutti punti di vista. Essendo stato interamente girato in Norvegia, gode di fantastiche ambientazioni, immersive e coinvolgenti, facendoti provare continui brividi di freddo solamente con la forza delle inquadrature. Per molti versi mi ha ricordato un pò l'aria che si respira nel film Uomini che odiano le donne (2009, diretto da Niels Arden Oplev), anche se purtroppo non regge minimamente il confronto.


Per cominciare voglio esprimere il mio disappunto sulla caratterizzazione dei personaggi, per nulla sfaccettati e caratteristici. Il detective Harry Hole (Michael Fassbender) ci viene presentato come il classico personaggio da film noire con problemi di alcolismo, cinico e disilluso, ma senza l'aggiunta di quel tassello caratteriale fondamentale per renderlo distinguibile tra i tanti; Tra l'altro, nonostante i suoi problemi di alcolismo, viene visto solamente in una brevissima scena con la bottiglia in mano.
I personaggi secondari sono anch'essi piatti e privi di sfaccettature, compreso il killer, che una volta svelata la sua identità, non lascia la benchè minima sorpresa sul nostro volto.
Durante lo svolgimento delle indagini da parte del detective Harry Hole, non veniamo mai presi per mano e accompagnati in quel freddo mondo fatto di congetture, ipotesi e condanne, ma restiamo distanti, impossibilitati di entrare in piena empatia con i personaggi.

L'uomo di neve è un prodotto andato sprecato, con un ottimo potenziale per nulla sfruttato. Poteva entrarci nell'anima, restarci e mai andarsene, invece quel che conserviamo è un ricordo che presto andrà a sciogliersi, proprio come un piccolo pupazzo di neve.

domenica 15 ottobre 2017

Immagini dalla Corea del Nord: tre documentari da non perdere

In questo periodo sentiamo spesso parlare della Corea del Nord e del suo leader Kim Jong-un. Essendo un paese dalla fama impenetrabile, dove un turista viene accompagnato in percorsi prestabiliti e le eventuali foto devono essere approvate prima di poter tornare in patria, la realizzazione di documentari approfonditi su questo paese diventa una missione ardua, ma non per questo impossibile. 

Under the sun (2015) di Vitaly Mansky


Il regista russo Vitaly Mansky dopo svariati tentativi viene accolto in Corea del Nord per documentare la vita di una normale famiglia di Pyongyang. Peccato che all'arrivo la troupe si ritrovi con uno script approvato dal regime, con location ed attori già scelti. Dopo ogni giornata di ripresa sono costretti a consegnare il girato che deve essere approvato. Con alcuni stratagemmi, riescono a produrre materiale sorprendetemente interessante: la camera non smette mai di girare, anche durante le pause e registra la preparazione di ciascuna scena, le svariate prove, le indicazioni che vengono date agli attori dalla troupe coreana e le loro reazioni. Svela l'immagine che vogliono mostrare di se stessi e come la costruiscono. La sensazione che domina le immagini è la completa mancanza di rapporti umani fra le persone, controbilanciato da un continuo ed ossessivo omaggio al leader Kim Jong-un e soprattuto al "presidente eterno" Kim Il-sung.


The Propaganda Game (2015) di Alvaro Logoria

Resoconto del breve soggiorno del regista in Corea del Nord, accompagnato da Alejandro, spagnolo trasferitosi nel paese, che diventa una sorta di co-protagonista. Quest'ultimo è riuscito a crearsi una carriera politica all'interno del regime, è tenuto in gran cosiderazione sebbene occidentale e cura i rapporti esteri. Il materiale che il regista Longoria raccoglie è molto eterogeneo ma si concentra sul concetto delle diverse immagini del regime, quella creata dalla propaganda per il popolo, quella dipanata davanti agli occhi dei turisti supercontrollati, veicolata in questo caso da Alejandro, e quella che viene raccontata dal resto del mondo. Il documentario è condito da interessanti interviste a studiosi ed esperti, molte sono le immagini di repertorio.


The Lovers and the Despot (2016) di Robert Cannan e Ross Adam

Questo documentario è di tipo storico, racconta la terribile e incredibile avventura di una ex-coppia, un'attrice e un regista sudcoreani, rapiti dal regime negli anni Settanta. Il presidente era Kim Jong-il, padre dell'attuale leader, appasionato di cinema ma deluso dai fallimenti dei film nordcoreani ai festival internazionali, è deciso nel creare un'industria in grado di competere con i film statunitensi. Porta con la forza due star dalla Corea del Sud a quella del Nord, si tratta del regista Shin Sang-ok e dell'attrice e ex-moglie Choe Eun-hee. Le immagini dell'epoca e le testimonianze delle persone coinvolte ripercorrono la storia della coppia, dal grande successo in patria al rapimento e alla prigionia. La donna racconta di essere stata accolta dal presidente in persona dopo un viaggio in una nave cargo, senza cibo per svariati giorni. Durante l'incontro riceve ringraziamenti per essere venuta, davanti ad una schiera di fotografi che immortalano l'evento, un evento che è in realtà una sorta di spettacolo grottesco per la stremata Choe Eun-hee. Poco dopo viene raggiunta dell'ex-marito, regista, che dopo un periodo di stretta sorveglianza e ripetute violenze viene convinto a mettersi dietro la macchina da presa. Ammette che gli venne data carta bianca sui film da realizzare, con budget impensabili nel  paese natale (ovviamente con sceneggiature approvate del partito). Il documentario arriva a citare il clima di sospetto che si scatenò in una parte dei sudcoreani, anche dopo la mirabolante fuga. Un documentario ben fatto e avvincente, caldamente consigliato.

Nessuno di questi documentari ha la presunzione di svelare una qualche verità assoluta: in molti  casi preferiscono sollevare domande più che dare risposte. The Propaganda Game e The Lovers and the Despot sono disponibili sulla piattaforma Netflix.

venerdì 13 ottobre 2017

A cena con Ferzan Ozpetek - Mine Vaganti (2010)

Uno dei temi ricorrenti della cinematografia di Ferzan Ozpetek è la famiglia intesa in senso non solo tradizionale. Nei film di Ozpetek la famiglia è il gruppo di persone unite da un affetto profondo e non solo da legami di sangue.
Mine Vaganti, del 2010, parla proprio di questo, della dinamiche che reggono una famiglia, quella dei Cantone.


Vincenzo Cantone (Ennio Fantastichini) è il proprietario di un pastificio vicino Lecce e il capo di una grande famiglia patriarcale, madre, moglie, sorella e tre figli. Tutto va come deve andare, non sia mai si dovesse finire sparlati. In realtà in famiglia tutti (o quasi) hanno dei segreti da nascondere.
Il figlio minore, Tommaso (Riccardo Scamarcio), torna in città da Roma dove studia Economia e commercio (o almeno così pensa il padre); ha deciso di rivelare qualcosa di molto importante alla propria famiglia: è gay e non ha mai studiato economia, è laureato in lettere e vuole fare lo scrittore.
Si confida con suo fratello Antonio (Alessandro Preziosi) che sembra turbato dalla notizia, anche perché la famiglia sta per entrare in affari con i Brunetti e Tommaso vuol parlare a tutti proprio durante la cena con loro.
Proprio quando Tommaso sta per rivelare il suo segreto Antonio prende la parola e fa outing, è omosessuale, ha avuto una storia con un dipendente del pastificio che è stato costretto ad allontanare per paura delle malelingue.
La rivelazione di Antonio scatena le ire del padre che ha un infarto. L’infarto del capo famiglia scatena in realtà qualcosa di inaspettato in tutta la famiglia, come un prurito sotto un cerotto che tutti vogliono levarsi. Intanto arrivano da gli amici di Tommaso da Roma, compreso Marco, il suo fidanzato.

Mine vaganti parla, oltre che del momento del coming out in famiglia, di cosa sia davvero una famiglia. I Cantone sembrano la famiglia modello ma ognuno di loro ha un segreto dentro che li allontana dagli altri. Nessuno di loro apre il proprio cuore per paura di “essere sparlati” dal resto della città. È chiaro questo sentimento di paura nelle scene per la strade di Lecce, i membri della famiglia Cantone girano per strada e vediamo le altre persone per strada che li guardano e sogghignano… “che brutta cosa la calunnia” conclude Stefania (Lunetta Savino).
Chi libera la famiglia da tutti i preconcetti è la mina vagante, la nonna (Ilaria Occhini), con una morte molto pittoresca e “dolce” abbandona i suoi cari e li costringe a guardarsi dentro.

Il finale, molto surreale, fa incontrare presente e passato; vediamo infatti la festa di matrimonio della nonna da giovane (Carolina Crescentini), in cui ballano tutti i suoi familiari ed amici del presente.

Scamarcio mi piace in questo film, ha una leggerezza che non mostra solitamente (mi fa molti ridere quando canta 50Mila di Nina Zilli davanti allo specchio); molto pesante è invece il ruolo di Preziosi che tinge la commedia di una leggera sfumatura drammatica. In realtà le vere protagoniste del film sono le donne della famiglia Cantone, nonna in testa.


Mine vaganti è un film che mi fa ridere ogni volta ma che mi fa anche commuovere, parla non solo del momento del coming out, ma soprattutto della famiglia, del calore che dà l’affetto dei propri familiari. La scelta della location di Lecce, una città del sud ricca di calore è perfetta.

mercoledì 11 ottobre 2017

Ammore e malavita, la Napoli che canta!


Cosa succede quando West Side Story incontra Gomorra e Un posto al sole incontra 007? Qualcosa di esplosivo come Ammore e Malavita, il musical dei Manetti Bros. Il film, in concorso alla 74 esima Mostra del Cinema di Venezia, ci porta in una Napoli che suona canta, balla e spara.

Don Vincenzo Strozzalone detto “O Re do Pesc” (Carlo Buccirosso) è morto, o almeno così pare. Il boss, dopo l’ennesima sparatoria a cui è scampato, decide di sparire e Donna Maria (Claudia Gerini), appassionata di cinema, gli suggerisce di fare come in 007 si vive solo due volte, fingersi morto e scappare insieme a lei lontano da Napoli.
L’infermiera Fatima (Serena Rossi) vede per caso Don Vincenzo vivo e vegeto in ospedale; la donna deve sparire e il boss invia i suoi sicari, le tigri Rosario (Raiz) e Ciro (Giampaolo Morelli) a cercarla per ucciderla. Ciro la trova ma Fatima è il suo primo ed unico amore. Ciro nasconde Fatima e inizia una lotta all’ultimo sangue contro tutto il clan degli Strozzalone.

La trama di Ammore e malavita sembra un crossover tra le serie tv ambientate a Napoli più amate, Un posto al sole (siamo a 4848 puntate) e Gomorra.

Con Gomorra tutto il mondo ha conosciuto il lato meno folkloristico e più oscuro di Napoli, la Camorra; Ammore e Malavita è anche la sua parodia ben studiata. Ciro Langella non può che ricordarci Ciro Di Marzio detto L’immortale (Marco D’Amore) di Gomorra; il sicario che si ribella al proprio boss e a chiunque si piazzi sul suo cammino.
Più legata al mondo di Un posto al sole è Fatima, la ragazza è ancora innamorata del suo Ciro e non si farà certo mettere i piedi in testa dalle logiche della criminalità organizzata.
La coppia di boss formata da Buccirosso e Gerini è l’esatta controparte dei Savastano; al silenzio che regna tra don Antonio e donna Imma fanno il verso le ciarle degli Strozzalone, tanto comici loro quanto drammatici gli altri.

Se Gomorra è citato esplicitamente, tante altre sono le citazioni cinematografiche inserite con maestria dai registi. C'è molto del musical, della sceneggiata napoletana, dei gangster movies americani, e anche un omaggio a C’era una volta in America. Il lavoro citazionistico dei due registi non è mai a caso e mai ridondante, le citazioni sono inserite nella trama di una sceneggiatura di per sé ben formata.

Le musiche scritte da Pivio & De Scalzi, anche con la collaborazione dei registi uniscono brani di repertorio come Skyfall di Adele e What a Feeling da Flashdance a brani scritti per il film. Il panorama musicale dei numeri cantati richiama un po’ tutto il mondo del cinema musical da West Side Story o Hair fino al mondo della sceneggiata napoletana e della musica partenopea. Non a caso nel cast figurano anche molti cantanti come Raiz, Franco Ricciardi e Ivan Granatino.

Contando che l’Italia non è nota per i suoi film musicali (i musicarelli con Rita Pavone e Gianni Morandi), Ammore e malavita può essere considerato come una nuova partenza per questo genere


P.S. Gianpaolo Morelli subito in un film di James Bond!

lunedì 9 ottobre 2017

Riverdale: buona la prima!

A.A.A. Cercasi affetto seriale disperatamente. Sto cercando disperatamente una serie che possa sostituire l'affetto per Grey's Anatomy e Glee, affetto che mi ha pugnalato alle spalle; la prima non la seguo più da quando Cristina è andata via, poi è morto Derek e con me Shonda ha chiuso (non completamente, seguo Le regole del delitto perfetto e guarderò Still star crossed , anche se questa attesissima serie già non mi convince). Glee invece, dopo la morte di Cory è diventato una schifezza e fortunatamente è stato chiuso, con una stagione di troppo.
Dopo aver guardato 13 e non averlo apprezzato fino in fondo, ho iniziato Rivedale che era nella mia lista “da guardare” già dell’inverno e vi spiego il motivo.
Verso novembre/dicembre mi era venuta una nostalgia pazzesca di Beverly Hills 90210, non tutte le stagioni, ma fino a quando Brenda e Dylan sono insieme, quindi mi sono guardata tutta la prima stagione. Avevo iniziato la seconda e non ho più avuto tempo. Così tra una puntata e l'altra cercavo qualche scoop sugli attori, c’erano notizie tristi su Shannen Doherty (Brenda) ammalata di cancro (sembra stare bene adesso), altre cose sugli altri di poco conto e poi traaaaaack “Luke Perry nuovo telefilm”.
Fatta, apro e inizio a leggere l'articolo. La trama del telefilm, non mi aveva molto convinto, pensavo fosse qualcosa tipo Teen Woolf, Secret Circle oppure The Vampire's diaries, che non seguo; una di quelle serie con forze occulte o soprannaturali, cose così. Ho meditato parecchi mesi e alla fine mi sono decisa: “guardo la prima puntata, se non mi piace, spengo e arrivederci!” seeeeeee, fosse vero, in quasi una settimana mi sono guardata tutti e 13 gli episodi (sto numero inizia a tormentare me e la Perrotti).
Allora, non so se mi sia piaciuta perché c'è Luke, fa il papà ed è molto lontano da Dylan, però la camminata e i gesti che fa sono sempre i suoi. Non so se mi sia piaciuta perché ero parecchio “delusa” in partenza e peggio non poteva andare, o se arrivavo da 13 e anche lì peggio non poteva andare (forse sono troppo crudele con 13, non fa poi così tanto ribrezzo).
La serie tv racconta le vicende di una città Riverdale, una tranquilla cittadina, che viene scossa dalla scomparsa di un giovane. Ad indagare, la polizia (per modo di dire) ed un gruppo di quattro giovani, Archie(il protagonista assoluto interpretato da KJ Apa) e i suoi amici: Veronica (Camila Mendes), Betty (Lili Reinhard) e Jughead (Cole Sprouse, uno dei gemellini di Zach e Cody al grand hotel, serie di Disney Channel). I quattro, come se non fosse già abbastanza traumatico essere un adolescente negli Stati Uniti oggi, vorranno a tutti i costi trovare una soluzione. Chi sarà il vero cattivo?
La serie mi è piaciuta molto (alcune cose non tantissimo, sono pesante, lo so), c'è molto di Gossip Girl, con la differenza che (cosa che ho apprezzato tantissimo), non tirano per le lunghe, i ragazzi del telefilm cercano in tutti i modi di essere onesti, di prendersi le proprie responsabilità, molto di più degli adulti. Sono leali tra di loro, si aiutano, si sorreggono e cercano la verità. Forse, hanno così tanto carattere (e diverso da quello che siamo ultimamente abituati) perché la storia è tratta da un fumetto, iniziato negli anni 40 circa, quando le persone, diciamolo erano più semplici, meno sotto-trame. La cosa che mi è piaciuta parecchio è che il “caso” si risolve con una puntata di anticipo, rispetto alla fine e analizzano nell'ultima puntata, le conseguenze, per poi introdurre ciò che sarà nella seconda stagione: vari scenari aperti. Mi piace che le ultime due puntate abbiamo concluso la serie con calma, senza fretta (come spesso accade, che nell'ultima puntata succede di tutto e di più).
Però, sono un po' scettica (il fumetto non l’ho letto), queste serie teen-drama-thriller, possono stancare nel tempo? Io spero che possano trovare una formula e dare continuità alla serie, senza cadere dell’assurdo e nel ridicolo, come ahimè ultimamente spesso accade. Attendiamo!




A.A.A. Desperately seeking a tv show to love. I'm looking for a series that can replace the affection that bound me to Grey's anatomy and Glee, an affection that eventually stabbed me in the back: I stopped watching the former series when Cristina left the cast, and Derek died. Shonda is done with me. (not completely, I follow How to Get Away with Murder and I am going to watch Still Star Crossed, although this eagerly awaited series does not really convince me). Glee instead, after the death of Cory turned to crap and thankfully it has been cancelled after an horrible last season.

After watching 13 (I didn’t really liked it) I started Riverdale, that was on my watchlist since last winter, and now I’ll tell you why..

In November/December I got caught by an insane nostalgia for Beverly Hills 90210, but only for those episodes in which Brenda and Dylan were still togheter. I watched the entire first season. I started the second one but I run out of free time. Between an episode and the other, I’ve been looking for scoops on the actors. I read some sad news about Shannen Doherty (Brenda) who is ill with cancer (she seems to be fine now), some minor news about the other actors of the cast and then there it was! An article about “Luke Perry’s new tv show”.

I opened the article and I read through it. I wasn’t quite convinced by the plot, because I thought the show was something like certain series I don’t watch, as Teen Woolf, Secret Circle or The Vampire's Diaries,. I was convinved that it was one of those series with occult or supernatural forces, or something like that. I have been thinking about watching or not that series for several months and in the end I made up my mind: I’d have watched the first episode, and if I didn’t like it, I’d have turned off the tv. But in the end I watched all the 13 episodes in less than a week! (This number is starting to torment both Perrotti and I).

Actually, I don't know if I liked it because Luke is in the cast; he plays the role of Archie's father and his character has nothing to do with Dylan. Even though the way he walks and his gestures are still the same. I don't know if I liked it because I didn’t have high expectations, or because I had just ended 13 and to me, nothing could be worse thant that. (Maybe I'm too cruel with 13, it is not so terrible, though!!).

The Tv series tells the story of Riverdale, a quiet town, shaken by the disappearance of a young man. The police department (actually just one policeman) investigate the case, as well as Archie (The protagonist interpreted by KJ Apa), and his friends: Veronica (Camila Mendes), Betty (Lili Reinhard) and Jughead (Cole Sprouse, one of the twins of Zach and Cody, a Disney Channel series). The four guys, as if it wasn't enough traumatic being a teenager in the United States, want to solve the case at all costs . Who is the culprit?

I really enjoyed the series, though I didn’t like certain things, (I’m difficult, I know it), There are many elements taken from Gossip Girl, but with a main difference (and I really appreciated it), the teens are staight to the point, they try to be honest, to take on their responsibilities, and they’re far better than adults in doing this. They are loyal, they help and support each other and they seek the truth. Maybe they have strong personalities (and we are not accustomed to guys like them anymore) because the story is based on a comic strip, started in the 40s, when people were less complicated. What I liked most is that the case is solved in the 12th episode, and in the last one, they analize the consequences of the crime and they give a hint of what the second season will be, leaving different scenarios opened. I really appreciated that the last two episodes ended the season without any “hurry” ( since often during the last episode they make happen too many things!).
However, I'm a bit skeptical: (I didn't read the comics) will you grow shick of these teen-drama-thriller series, in time? I hope they can find a formula and give continuity to the series, without getting ridicolous, as nowadays happens too often. Let's see!

domenica 8 ottobre 2017

Blade Runner 2049

Tra la Los Angeles 2019 di Blade Runner (Ridley Scott, 1982) e quella di Blade Runner 2049 (Denis Villeneuve, 2017), scorrono trent’anni e ci chiediamo che fine abbiano fatto il cacciatore di replicanti Rick Dekard (Harrison Ford) e la replicante Rachel (Sean Young), e attendiamo che venga svelato il significato dell’unicorno lasciato al Blade Runner. In questa pellicola, le domande dovrebbero trovare una risposta.
Nel 2049, sono stati messi in commercio dei nuovi modelli di replicanti che “non scappano”, consci di essere replicanti e che accettano di fare ciò che gli esseri umani non vogliono o non possono più fare, una manodopera da sfruttare.
L’Agente K (Ryan Gosling) ha la mansione di “ritirare” i vecchi modelli Nexus. La sua è una ricerca che in quasi tutti i casi porta alla morte, tanto che diventerà una ricerca di se stesso e della propria umanità. Non è facile scrive di questo film: “troppa carne al fuoco”; un film “capolavoro”, cult, al centro di studi, di speculazioni e “director’s cut”, un film unico e di cui ci restano le domande “Cosa è reale e cosa non lo è?” “Cosa vogliamo sentirci dire e cosa vogliamo vedere?” “Chi sono i replicanti e chi sono gli esseri umani?”
La scena che più mi ha coinvolto è l’ultima in cui attraverso un vetro si scopre la verità e alle emozioni non attribuisci l’appellativo replicante o essere umano.

venerdì 6 ottobre 2017

Napoleon Dynamite – Un nerd insolito

Napoleon Dynamite – Un nerd insolito

Napoleon Dynamite, diretto da Jared Hess nel 2004, è una commedia dai toni smorzati che ha come protagonista l’adolescente Napoleon (Jon Heder), un nerd dall’aria poco sveglia che vive una situazione familiare bizzarra e una vita liceale contrappuntata da prese in giro e maltrattamenti.
Il film premiato da MTV con tre MTV Movie Awards e presentato al Sundance Film Festival, se da un lato propone la classica situazione del nerd disagiato che nel finale ottiene un riscatto, dall’altro offre personaggi assurdi e improbabili, dialoghi surreali e situazioni divertenti che non cadono mai nella banale trita e ritrita volgarità. Tutta la vicenda, anche nei momenti che dovrebbero essere più intensi, viaggia sempre sottotono, effetto dato anche da una fotografia dalle atmosfere soft tinta pastello.
Napoleon vive con la nonna e il fratello Kip. A causa di un incidente, la nonna è ricoverata, così arriva lo zio Rico a prendersi cura dei due ragazzi. Rico coinvolge Kip, appassionato di chat online, in un assurdo lavoro come rappresentanti di contenitori di plastica e attraverso i suoi traffici commerciali, lo zio riesce a mettere più volte Napoleon in situazioni scomode. Il protagonista è costretto a scontrarsi giorno per giorno con una vita sociale difficile. Ha un unico amico, Pedro, un ragazzo messicano baffuto dalla scarsa vitalità, come del resto Napoleon. Il protagonista è infatuato di Deb (Tina Majorino), ma il loro rapporto sfocia soltanto in un’amicizia, delineata talvolta da tratti goffi. Dopo una serie di situazioni forse un po’ sconnesse tra loro, tra cui il classico ballo della scuola, Napoleon ottiene il riscatto quando alle elezioni scolastiche, con una sua esibizione da ballerino, riesce a far vincere l’amico Pedro, che si era proposto come candidato senza ottenere alcun seguito fino a quel momento.
Il lavoro di Jared Hess ha avuto un inaspettato successo tanto che a seguito della prima versione del film, è stata girata una scena extra inserita a posteriori dopo i titoli di coda.
Nonostante la sceneggiatura faccia appello ad alcune situazioni ordinarie per film adolescenziali, come le elezioni scolastiche, il ballo, i soprusi subiti dal ragazzo e così via, Napoleon Dynamite propone scene grottesche che incredibilmente risultano più veritiere e funzionali di molti altri lavori indirizzati al medesimo pubblico giovanile. La narrazione lenta e la frequente staticità fisica dei personaggi si contrappongono fermamente alla frenesia delle tipiche commediole americane. Emerge dal film di Hess un’umanità disagiata, estraniata, talvolta inerte e inerme, nonostante la vittoria finale. Napoleon Dynamite è un film sul filo del rasoio, alle volte scivola nell’idiozia, ma rimane pure sempre un ritratto surreale di persone incomprese ed emarginate, lontane dalla massa stereotipata, che fanno sorridere per le loro stramberie che, in fin dei conti, sono meno distanti di quel che può sembrare.


Titolo originale: Napoleon Dynamite ; Regia: Jared Hess; Anno: 2004; Paese di produzione: USA; Produzione: Fox Searchlight Pictures, Paramount Pictures; Durata: 91 min.

mercoledì 4 ottobre 2017

"Ferrari 312B", il rombo della Rossa torna in pista


Ieri sera al multisala Ariston di Mantova un grande successo per l'anteprima mondiale Ferrari 312B, documentario firmato dal giovane regista Andrea Marini.

il regista Andrea Marini prenseta il film

Si racconta l'epopea dell'ex-pilota di F1 Paolo Barilla e dell'ingegnere Mauro Forghieri (presenti in sala): nel 2015 decidono di riportare in pista quell'auto da corsa che nei primi anni 70 aveva trionfato assicurando uno dei periodi aurei della scuderia, la Ferrari 312B. Il restauro dell'auto, scovata negli Stati Uniti e acquistata da Barilla, è reso possibile da Forghieri, progettista dell'epoca. Risentire il rombo del 12 cilindri "piatto", pensato in origine per essere inserito nell'ala di un aereo, non basta, il sogno è quello di riportarla nel suo habitat naturale, la gara, in occasione del Gran Premio Storico di Monaco: stesso circuito della Formula 1 ma con il fascino delle vecchie auto ad emozionare il pubblico di Montecarlo.
Nel documentario si ripercorre la storia della monoposto e del perchè sia entrata nella leggenda delle corse, rivivendo quelle emozioni grazie alle testimonianze di grandi campioni quali Niki Lauda, Jackie Stewart e Jacky Ickx. Tante le immagini di repertorio, fra cui la mitica prima vittoria della carriera di Clay Regazzoni a Monza nel 1970 a bordo della 312B.
Molto spazio è dato all'impresa del restauro della rossa, un'altalena di esaltazione e timore di non farcela. Il suono del motore diventa onnipresente, coprendo a tratti le parole e i commenti del carismatico ingegnere, scelta che ci immerge perfettamente nell'azione, che non è solamente quella della pista. Interessante è l'evocazione del rapporto stretto fra meccanico e pilota, la fiducia che quest'ultimo doveva riporre nel team, specialmente in quegli anni in cui l'incidente era pronto ad aspettarlo ad ogni curva.
Ma ciò che trasmette il film è soprattutto la passione per un'auto che è diventata simbolo, innalzata ad opera d'arte, eco del desiderio dell'impossibile che in quegli anni non si può non accostare all'allunaggio e alla potenza e velocità del razzo.

Tra i tanti ospiti l'ex-pilota Paolo Barilla e il progettista Mauro Forghieri

Il film viene distribuito da Nexo Digital il 9-10-11 ottobre, QUI l'elenco delle sale.

martedì 3 ottobre 2017

A cena con Ferzan Ozpetek, Le fate ignoranti (2001)

Non c'è nulla di più familiare di una cena tra amici, passarsi il cibo, ridere chiacchierare, ricordare... Per me i film di Ferzan Ozpetek sono così: familiari.
È come se ogni volta il regista ci invitasse a casa sua per raccontarci qualcosa di intimo e personale, qualcosa da dire solo agli amici. Non a caso nei suoi film ci sono sempre scene di cene tra amici.
Ho scelto quattro film della sua filmografia che penso rappresentino altrettanti temi a lui cari.
Il primo è...

Le fate ignoranti (2001)




Ricordo ancora la prima volta che visto il manifesto di Le fate ignoranti, è un quadro, mi colpì molto per i suoi colori, così come fanno i suoi film.
Proprio da quel quadro inizia l'intreccio di Le fate ignoranti.
Antonia (Margherita Buy), medico specializzato nella cura dell'AIDS, perde il marito Massimo a causa di un incidente.
Mettendo in ordine tra gli averi di Massimo trova un quadro con una dedica di una probabile amante. La donna si mette alla ricerca di questa presunta amante, una certa signorina Mariani. Le sue ricerche la portano a casa dell'amante del marito, Michele (Stefano Accorsi).
Massimo era gay, e soprattutto aveva un'intera esistenza da cui lei “che mangiava dal suo stesso piatto” era esclusa. Casa di Michele è infatti il ritrovo di un gruppo di amici tutti appartenenti alla comunità LGBT e tutti con storie differenti.
Antonia si ritrova a scoprire, e con lei lo fa lo spettatore, molte delle dinamiche e delle questioni legate all'omosessualità. Lei, una donna molto razionale e fredda, entra a contatto con il calore di una famiglia non di sangue ma non per questo non unita; a casa di Michele regna un'intimità che, col senno di poi, lei non ha mai avuto con il marito.
Non per ultimo conoscerà Ernesto (Gabriel Garko), malato terminale di AIDS, che le racconterà la propria storia.
Tra Antonia e Michele nasce un rapporto ambiguo, forse per la diffidenza tra i due (Michele è sempre rimasto nell'ombra), forse per la riluttanza iniziale di lei ad accettare non tanto l'omosessualità del marito quanto il fatto che le nascondesse un segreto tanto grande.
Con il tempo i due stringono un'amicizia molto forte, quasi un'attrazione, che li porterà a riflettere su cosa vogliono dalla propria vita.
Le fate ignoranti arriva quattro anni dopo Hamam, Bagno Turco, film d'esordio del regista e che affronta anche il tema dell'omosessualità, ma qui vi è un'impronta diversa.
Ozpetek vuole raccontarci la quotidianità della comunità LGBT di cui lui stesso fa parte, vuole mostrare, ed era il 2001, come l'amore sia amore. Non importa se si ama qualcuno dello stesso sesso o opposto; nessuno si esime dai rapporti affettivi.
Nei titoli di coda vediamo il cast durante la manifestazione del Gay Pride a Roma.

All'inizio ho accennato al fatto che la locandina del film mi avesse molto colpita per i suoi colori. Amo i film di Ozpetek anche per questo, per il modo in cui usa la luce ed i colori; tutto è costruito per lanciarci il sentimento che domina il film o la scena in particolare. Ad esempio nelle scene dei pranzi tutto ha colori caldi e saturi, il rosso del sugo della pasta, la tovaglia colorata, i piatti ed i bicchieri tutti spaiati e diversi; si crea un caos ordinato che rende lo spettatore quasi uno dei commensali.

P.S. ho controllato, il quadro è stato dipinto da Ozpetek stesso ai tempi del liceo.