To The Bone (Fino all’osso) è un film scritto e diretto da Marti
Noxon, con Lily Collins e Keanu Reeves. Prodotto Netflix; e a proposito vi dirò
che mi piace il coraggio di Netflix, affronta tematiche, che molto spesso vengo
lasciate solo ai generi drammatici, dove o piangi oppure non arrivi mai alla
riflessione.
In questo film si parla di
anoressia e, di altre malattie alimentari, o come li chiama il dottore Beckam
(Reeves) “Problemi” alimentari.
Ma passiamo alla trama, il film inizia con
Ellen (Collins) ricoverata in un ospedale, o centro di recupero, dall’aspetto
ospedaliero, è arrabbiata e verbalmente aggressiva. Fino all’osso non inizia raccontando come si entra nella malattia,
come si affronta e come si guarisce. No, racconta come si cerca di reagire. Dal
film passa, giustamente, che non esiste un reale motivo per cui si entra nel
problema.
Tutto inizia quando Ellen è già ad uno stadio
molto avanzato. Questo è il terzo tentativo di aiutare la ragazza, da parte dei
familiari, che falliscono, di nuovo. Così la compagna del padre decide di fare
un ultimo tentativo e portarla dal migliore, il Dottor Beckam il quale cerca di
aiutare i ragazzi con metodi poco convenzionali, cercando di aggredire la “malattia”,
dando stimoli ai ragazzi perché possano capire che bisogna reagire e vivere,
che vale la pena vivere, anche per un solo motivo, facendoli vivere tra delle
mura domestiche. Ellen entra così nella grande casa (la clinica Threshold), con lei ci sono altri 6
ospiti, 5 ragazze e Luke, un ballerino.
I motivi che hanno portato Ellen
ad entrare nella spirale mortale? Sembrerebbero molti: l’assenza del padre (non
lo vediamo mai nel film, troppo impegnato a lavorare o a non voler vedere la
figlia morire), una madre che ha subito una depressione post parto, che stando
alle parole di Susan, la compagna del padre, è “Lesbica e bipolare”, e infine
Susan che ha un modo un po’ “povero” di prendersi cura di una ragazza troppo
problematica, logorroica e spesso fuori luogo però a modo suo tenera. Prova in
tutti i modi a salvare quella figlia che non ha scelto (ma i genitori scelgono
i figli?).
Poi c’è un altro motivo,
apparente, che però non vi dico, altrimenti leggete solo la recensione e non
guardate più il film, che a mio avviso dovete vedere e che, dovete far vedere,
soprattutto ai ragazzi.
Ultimamente abbiamo un po’
abbassato la guardia verso alcuni problemi, non dobbiamo farlo, ma essere
continuamente allertati, non con l’ansia ovviamente, ma un bel modo per
affrontare certe questioni è questo: la commedia, aprire il dibattito con il
sorriso amaro. Dovrebbe essere visto nelle scuole, perché affronta la malattia
con onestà, con schiettezza, senza tanti giri di parole arriva al nocciolo
della questione: non ci sono aiuti efficaci, se tu non vuoi uscirne e non ti
vuoi bene.
Sembra retorica, ma è la verità,
l’individuo è al centro di tutto; Ellen per vivere deve diventare Ilay
(capirete guardando), deve essere sé stessa, fuori dalle convenzioni familiari.
Sono gli obblighi verso gli altri il vero motivo che spingono le persone al
masochismo?
È la sorella di Ellen, Kelly, che
ci conduce velatamente a questa lettura; secondo Kelly, Ellen vuole diventare
brutta, un mostro, per spaventare le persone, per allontanarle, anzi, per
rappresentare fisicamente quello che gli altri pensano di lei. Il giudizio
altrui soffoca la fragile Ellen, solo quando imparerà a guardarsi con i propri
occhi, riuscirà a trovare la forza di incamminarsi verso la strada della
guarigione.
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