sabato 3 marzo 2018

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 Lo staff di FilmLovers

domenica 25 febbraio 2018

Vikings V: piccoli cinghiali crescono



“I piccoli cinghiali grugniranno quando sapranno quanto ha sofferto il vecchio cinghiale”

Questo è stato il motivo principale della conclusione della quarta serie di Vikings: tutti i piccoli Lodbrok sbarcati in Inghilterra fanno fronte comune pur di vendicare la sorte del leggendario padre.

Nella prima parte della quinta serie, composta da dieci episodi messi in onda fino a fine Gennaio, i piccoli cinghiali continuano a grugnire ma  l’uno contro l’altro. Uscito dai giochi di potere quasi subito Bjorn la Corazza, che preferisce le calde acque mediterranee alle gelide del Mare del Nord, è Ivar a tiranneggiare i fratelli rimasti. Ivar il Senz'Ossa guida i Norreni in battaglia alla conquista di York, è lui ad annientare l’esercito di Re Aethelwulf ed è sempre lui a decidere di vendicare questa volta la madre muovendo guerra contro Laghertha. Dall’altra parte vi è Ubbe che non riuscendo ad arginare il carisma e la sagacia di Ivar, scappa come un codardo al capezzale della regina di Kattegat. Nel mezzo ci sta Hvitserk che beh…nemmeno lui sa bene con chi sta realmente!

In Vikings 5 fratellanza è sinonimo di slealtà: Re Arald ha visto il fratello Halfdan seguire Bjorn nella sua avventura esplorativa e lo ritroverà solo nel campo di battaglia, questa volta però nello schieramento opposto. Nemmeno nel Wessex i due principini vanno tanto d’amore e d’accordo e alla fine di tutto farà addirittura la sua ricomparsa anche Rollo, un altro a cui è sempre stato stretto il titolo di “fratello di”.

Sintetizzate le intricate vicende dei fratelli Lodbrok e affini, la serie naviga in acque molto calme, non sembrano infatti esserci terre all'orizzonte per circa tre quarti della serie. Io ho provato una fastidiosa impazienza, attendendo un colpo di scena che tardava (troppo) ad arrivare. Ma alla fine anche noi sperduti spettatori troviamo la Terra Promessa, il Valhalla che proprio crede di aver trovato Floki nella storyline a lui dedicata. Apro una piccola parentesi a riguardo; cari autori dove avete nascosto tutta l’imprevedibilità e la genialità di quel meraviglioso scherzo della natura che ERA il personaggio di Floki? Mi sento come uno di quei poveri disgraziati che si sono fatti convincere a seguirlo in quella desolata (sceneggiatura?) terra: profondamente delusa.

Ma infine la svolta arriva per tutti! “Moments of Vision” è l’appassionante ultimo episodio, che spiazza, colpisce ed emoziona. La battaglia entra nel vivo, i protagonisti sono tutti pronti ad affrontare i propri personali demoni a colpi di ascia, ma in un'inusuale maniera intimista con una ripetizione di soggettive, molto diversa rispetto ai clamori delle grandi epiche battaglie del passato; scelta che ho trovato davvero coinvolgente. A questo punto sono obbligata a parlare del mio personaggio preferito di questi episodi: Astrid, l’unica che si mostra capace di un amore puro e coraggioso, ma soprattutto leale.


Lo slogan “Who will rise?” che ha lanciato questa stagione non ha ancora trovato risposta certa. E non è l’unica domanda rimasta aperta: era davvero necessario scomodare Jonathan Rhys Meyers per interpretare un personaggio così privo di sfumature come il Vescovo Headmund? Speriamo che la seconda parte della stagione giunga presto a darci tutte le risposte.

giovedì 22 febbraio 2018

Everything sucks! Il ritorno dei '90

Everything sucks! Serie tv per adolescenti targata Netflix, uscita il 16 febbraio è composta da 10 episodi da 25 minuti.


L’ho divorata in meno di 24 ore, erano mesi che la stavo aspettando ed essendo composta da episodi molto brevi, mi ha aiutato.

Ambientata nel 1996 nella cittadina di Boring segue la vita di alcuni liceali, divisi in due club quello di teatro e quelli dell’audiovisivo. Inizialmente i due gruppi s’ignorano, poi non si sopportano e alla fine uniscono le loro forze per creare un “prodotto”.

Si potrebbe dire che i protagonisti sono sei, con membri dei club secondari. Luke O’Neil (Jahi Di'Allo Winston), frequenta il primo anno di liceo, insieme ai suoi inseparabili amici Tyler(Quinn Liebling) e McQuaid (Rio Mangini),  s’iscrivono al club dell’audiovisivo, il che consiste nel seguire le riprese del telegiornale scolastico. Luke incontra Kate Messner (Peyton Kennedy) e se ne innamora perdutamente, la ragazza è la figlia del preside e gli amici lo mettono in guardia: se iniziasse a frequentarla per loro le cose potrebbero mettersi male, diventando facili bersagli.

Ma questo problema è secondario. Il club del teatro è frequentato dai fichi della scuola (ma non lo erano i giocatori di football e le cheerleader?) Emaline (Sydney Sweeney) e il fidanzato Oliver (Elijah Stevenson). Luke e Kate iniziano a frequentarsi, lui tenta di baciarla, ma lei fa scattare l’allarme antincendio allagando tutto il teatro della scuola. A questo punto il club di teatro non potrà più andare in scena e inizieranno a perseguitare Luke, per essere la causa di questa tragedia. Alla fine i due club uniranno le loro forze per girare un film ed accontentare così tutti.

La serie è carina, non entusiasmante, probabilmente gli episodi sono troppo corti e i due club fanno amicizia troppo presto, manca un vero antagonista, il disturbatore della serie. Kate Messner sembra una versione omosessuale di Joy Potter di Dowson’s Creek, in realtà questo telefilm lo ricorda molto, solo che a differenza dell’originale in questo non usano paroloni o concetti filosofici degni di Schopenhauer.

Sembra un grandissimo videoclip musicale in stile anni ’90 e questo aspetto mi è piaciuto un sacco, anche se è ambientato in quegli anni nel contenuto e nel linguaggio non li rispecchia per nulla, la sessualità non veniva affrontata in maniera così esplicita e i ragazzini non rispondevano mai in maniera maleducata ai genitori o agli adulti in generale. La recitazione di alcuni è un po’ sopra le righe, stile Kiss me Licia con Cristina D’Avena, che per i protagonisti di teatro, un po’ può starci, ma svilupparla per 10 episodi diventa un po’ stancante. La serie si conclude con alcuni punti interrogativi, che probabilmente verranno risolti nella seconda stagione, quasi sicuramente la guarderò, ma non la sto aspettando con ansia, non è una di quelle serie che termina e ti viene da dire “Cavoli (o qualche altra parolaccia) quanto devo aspettare adesso???”. 

martedì 20 febbraio 2018

Black Panther


(Ryan Coogler, 2018)

Nato nel 1966, creato da Stan Lee e dal fratello Larry Lieber, T’Challa è l'unico re terreste del Marvel Cinematic Universe. Black Panther è tra i film più politici della serie assieme ad Iron Man e The Avengers; in questo film ci sono tantissimi spunti di riflessione sulla società americana contemporanea (l’attuale presidente degli Stati Uniti è appoggiato dal Ku Kluk Klan).
Il film di Ryan Coogler inizia al termine degli eventi della Civil War (2016). Dopo la morte del padre, T’Challa/Black Panther (Chadwick Boseman) ritorna nel nativo Wakanda per essere incoronato re.
Il Wakanda è al centro del mondo e fuori dal mondo, in apparenza poverissimo stato dell’Africa centrale, nasconde grandi giacimenti di Vibranium, il metallo più raro sulla terra e alla base di tutte le tecnologie del paese; il principale compito del re è proteggere questo segreto che ha permesso la “sopravvivenza” della nazione in un continente vittima per centinaia d’anni di abusi e violenze della colonizzazione occidentale.
Black Panther è epico e bellissimo, sceneggiatura e dialoghi risentono di echi shakespeariani.
T’Challa deve lottare contro una bugia, che ha impedito al padre di fare la cosa giusta. I segreti di famiglia creano e crescono i nostri mostri. Black Panther è il film più femminista della Marvel fino ad ora, fatto di bellissime donne guerriere che lottano per difendere la propria terra; una svolta nella narrazione dei blockbuster supereroiestici assieme a Wonder Woman (2017) di Patty Jenkins.

Wakanda Forever!

lunedì 19 febbraio 2018

A casa tutti bene, l'isola dello sclero!

A casa tutti bene è l’ultimo film di Gabriele Muccino, in questo film vengono riunite alcune vecchie conoscenze del suo cinema. La storia, sembrerebbe buona, lo svolgimento decisamente peggio: Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti) per il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio radunano tutti i parenti più stretti, figli, fratelli e nipoti su un’isola. Tutti dovrebbero rimanere il tempo della cerimonia e i festeggiamenti, ma arriva un forte temporale che blocca tutti i traghetti, quindi l’allegra famigliola sarà costretta a convivere per almeno due notti. Ci sono talmente tanti personaggi che per scrivere la recensione mi sono dovuta fare un albero genealogico, ma la cosa è che a tutti si vuole dare spazio, così si finisce per avere piccoli frammenti di storie e nessun quadro completo della situazione.
I festeggiati hanno tre figli: Paolo (Stefano Accorsi) il ribelle della famiglia, scrittore, artista, intellettuale, viaggiatore; Sara (Sabrina Impacciatore) sposata con  Diego (Giampaolo Morelli), hanno un figlio e lui la tradisce (con Tea Falco, per tutto il film avevo il terrore di vederla sbucare, pregavo perché non avesse un ruolo principale per non sentirla recitare per molto tempo e grazie al cielo ha avuto una particina di pochissimi minuti, recitati come al solito alla sua maniera, mi chiedo, ma sta ragazza perché recita?); Carlo (Pierfrancesco Favino), divorziato dalla dolcissima Elettra (Valeria Solarino) e risposato con la schizzata Ginevra (Carolina Crescentini) e beato tra le donne ha due figlie, tutti e cinque (più il migliore amico della figlia maggiore) sono presenti alla cerimonia. La seconda moglie è ossessionata dalla prima e il drammone è servito come un pranzo di Natale. Alla cerimonia è presente anche la sorella di Pietro, Maria (Sandra Milo, ogni volta che parlava mi aspettavo che iniziasse ad urlare “Ciro”, peccato che uno dei suoi figli non si chiamasse così nel film), meno ricca ed economicamente meno fortunata del fratello, ha due figli: Riccardo (Gianmarco Tognazzi) e Sandro (Massimo Ghini). Sono questi membri della famiglia a muovere un po’ tutta la situazione e a mettere in risalto tutte le ipocrisie dell’altro ramo della famiglia. Le coppie più riuscite, perché autentiche, che cercano di prendere di petto le loro difficoltà e non le nascondono sotto il tappeto come fossero polvere sono Riccardo e la moglie Luana (Giulia Michelini), i due aspettano un figlio e sono in serie difficoltà economiche, vengono trattati come pezze da piedi, tant’è che li mettono a dormire su un materasso, per terra. Si può far dormire una donna incinta per terra e dare il letto a due adolescenti? Non vi dico la rabbia. Riccardo vorrebbe tornare a lavorare al ristorante dei cugini, ma loro non lo rivogliono assolutamente, Luana osserva i tentativi del marito di elemosinare un impiego e strisciare ai piedi dei parenti, alla fine sbotta gettando in faccia tutte le verità degli altri componenti della famiglia. Una grande, avrei voluto tanto alzarmi in piedi ed applaudirla. L’altra coppia è quella composta da Sandro e la moglie Beatrice (Claudia Gerini), lui è malato di Alzheimer, spesso fa ridere, perché è regredito ad uno stato infantile però nella risata a me ha messo tristezza, chi conosce questa malattia sa che c’è poco da ridere e Beatrice lo sa, deve prendere una decisone per lei e per il marito, urla in faccia al fratello di Sandro quello che sta passando, insieme allo sclero di Luana, tra le scene più riuscite del film. Forse le uniche.

Azzarderei a dire che è tra i film meno riusciti di Gabriele, urla inutili, personaggi piatti, macchina da presa frenetica che rincorre i personaggi che litigano rincorrendosi per tutta la casa, per le salite dell’isola (bisogna far movimento se si vuole recitare ansimando), si cerca il movimento anche quando non è importante. Manca una riflessione, su cosa dobbiamo riflettere? Sull’ipocrisia borghese? Di nuovo? Se voleva farlo, questa volta è uscito male, mancano gli ambienti borghesi, manca una direzione precisa dei personaggi e della storia stessa. Peccato, è un film che non è né carne, né pesce! 

sabato 17 febbraio 2018

Sono Tornato


Ho sempre pensato che l'unica chiave di lettura dell'Italia sia la satira che sfuma nel grottesco; Sono Tornato è grottesco, quanto attuale.
Remake del film tedesco Lui è ritornato (Er ist wieder da) del 2015 diretto da David Wnendt basato sul romanzo di Timur Vermes (2012).
Le sinossi dei due film sono speculari. Hitler si risveglia nella Berlino del 2015 e Benito Mussolini “magicamente” si ritrova nella Roma del 2017.
La domanda del film è semplice “Cosa potrebbe succedere se il Duce "ritornasse sulle scene"?
Un ibrido di materiali, riprese documentarie (le immagini del giro d’Italia del regista di documentari interpretato da Frank Matano sono autentiche) e di finzione mostrano la necessità degli italiani di avere un interlocutore. Dopo questo viaggio on the road del Paese, il Duce, il fondatore della propaganda, identifica nella mancanza di sogni il problema principale del paese.
Tutti vedono nel Duce un attore con una comicità surreale, una persona con cui relazionarsi, non uno spettro o un mostro del passato; Maurizio Popolizio è di una bravura immensa e mi ha spaventato.
Al termine del film, da uno dei protagonisti ci viene chiesto di ricordare e di non perdonare.






giovedì 15 febbraio 2018

THE RED HARLEQUIN – COSA SI NASCONDE DIETRO LA MASCHERA DI UN’OPERA?


The Red Harlequin è un’opera cupa e drammatica, ambientata in un medioevo distopico, con una forte componente visiva che cattura il lettore sin dalle prime pagine. Il fumetto, in via di sviluppo, è nato dall’omonima serie di libri uscita per la prima volta in Francia. Ad oggi ne contiamo cinque, che hanno venduto più di 15.000 copie. Con noi abbiamo Roberto Ricci, l’autore dei romanzi e del fumetto in questione che ho avuto la fortuna di leggere in anteprima, che ci racconterà nel dettaglio la storia e ci svelerà qualche piccolo retroscena.


In breve, introducici nel mondo che hai creato. Cosa racconta la tua storia?

Il mondo che ho creato è un mondo diverso dal nostro, surreale, in cui tutti i suoi abitanti devono indossare delle maschere in pubblico, (è una delle Leggi Collettive), e in cui ciascuna nazione si identifica in un colore. E’ un mondo dove è il colore che crea l’identità culturale e politica di ciascuno e dove se non appartieni ad un singolo colore vuol dire che appartieni a tutti e a nessuno e quindi fai parte degli Arlecchini, creature misteriose di cui tutti hanno paura proprio perché non conformi alle regole. La mia storia racconta, attraverso una favola distopica, i pregiudizi e le ipocrisie che risultano avere il sopravvento su società chiuse in loro stesse e nelle loro paure. Ma Red Harlequin racconta anche della forza inarrestabile del cambiamento che spazza via tutto ed è rappresentata dal protagonista, un quattordicenne membro della Nazione Nera di nome Asheva. La sua diventa una forza (anche violenta) depuratrice e non a caso per il nome mi sono ispirato a Shiva, la divinità indiana che rappresenta sia la forza distruttrice che quella rigeneratrice (ora smetto di parlare su questo argomento se no va a finire che spoilero!).


Quando si parla di maschere è inevitabile pensare al rinomato Luigi Pirandello. Quanto hai preso in prestito dalla sua arte per scrivere questa storia?
Ad essere sinceri, sebbene ho letto (e apprezzo molto) Pirandello, non mi sono ispirato a lui ma piuttosto sono andato ancora più indietro nel tempo alla nostra tradizione della Commedia Dell’Arte e al Carnevale.
Sono sempre stato affascinato dal discorso delle maschere, dai costumi e dal Carnevale. Di fatto, nei secoli scorsi il Carnevale era anche visto come una liberazione, potevi indossare una maschera e per una notte non essere più quello che eri di giorno. Ho fatto mio questo concetto in Red Harlequin. Nei miei libri i personaggi liberi sono gli Arlecchini appunto.


Ogni autore nasconde se stesso all'interno di un'opera. Tiziano Sclavi ha affermato che in Dylan Dog lui fosse i mostri. Tu dove ti sei nascosto?

In Asheva, ovviamente.


I fumetti viaggeranno sulla stessa scia dei libri o prenderanno una strada diversa?

I fumetti viaggiano sulla stessa scia dei libri. Abbiamo appena completato il primo volume, chiamato “La Nazione Nera” che ricalca appunto quanto accade nella prima metà di Maschere e Cromi, il primo libro della serie.


Come hai gestito la scrittura del libro avendo a disposizione solamente le parole per mostrarci un mondo che ha come protagonisti i colori?

Mi dicono che sono molto “scenico” cioè che rappresento bene la scena e i personaggi. Per quanto riguarda mostrare un mondo che ha come protagonisti i colori, non è poi così difficile. Anche il nostro mondo ha per protagonisti i colori, solo che non ci facciamo più molto caso. Basta vedere come siamo vestiti, a partire dai tradizionali colori azzurro e rosa che segnano ed identificano l’identità nella prima infanzia, ai colori che individuano le nostre appartenenze politiche fino alle città tutte di un colore (basta pensare a molte città mediterranee dipinte tutte di bianco)


Raccontaci del rapporto che hai avuto con i tuoi collaboratori, Giuseppe De Donato alle matite e Elisa Bartolucci ai colori: Sono entrati subito nella tua testa per replicare visivamente il mondo che hai creato?

Il progetto è nato in primis con un amico (nonché l’Art Director dei fumetti) Alessandro Tarabelli con cui già collaboravo da tempo su altri progetti. Alessandro è un artista e graphic designer con alle spalle venti anni di esperienza. Con lui abbiamo iniziato a ragionare concretamente sul progetto. Poi, grazie alla scuola di comics di Jesi di cui Alessandro è stato un diplomato, abbiamo avuto la fortuna di incontrare prima Giuseppe e poi tramite Giuseppe, anche Elisa. Giuseppe ed Elisa sono due ragazzi pieni di talento e per me non è che la riprova che in ambito design e fumetti la scuola italiana non é seconda a nessuno. Giuseppe ha il dono, oltre che quello di essere un grande disegnatore, di essere molto “cinematico” e quindi è riuscito a fornire un dinamismo alla sceneggiatura e alle vignette visivamente molto appagante. Con Elisa invece è arrivata la primavera, nel senso che da subito ha dato un suo stile molto originale e “fresco” alla colorazione, che poi era fondamentale in quanto appunto i colori fanno parte anch’essi della narrativa.


Per aiutarli, hai dato loro opere di riferimento alle quali ispirarsi? Se si, quali?

Per la colorazione ad esempio, ho fatto riferimento a Star Wars. In Red Harlequin, il colore di appartenenza è tutto e quindi ne consegue che i personaggi debbano essere vestiti di quel colore. Allora ho fatto riferimento al fatto che in Guerre Stellari tutti i cattivi sono sempre monocromatici, tutti Rossi, tutti bianchi, tutti neri ecc. In Red Harlequin il concetto è più o meno simile anche se con nuance diverse.


Parliamo invece del lato tecnico del fumetto: Visivamente, quanto sarà fondamentale la componente cromatica? Giocherete molto con i colori a seconda del regno nel quale ci troviamo?

Nel primo volume del fumetto, ambientato nella città Nera di Axyum, abbiamo scelto di rendere tutto molto scuro e desaturato, per enfatizzare appunto il concetto cromatico (o monocromatico) dei Neri e per enfatizzare anche un senso quasi claustrofobico di una società chiusa in se stessa. Successivamente, a partire dal secondo volume, si schiuderanno agli occhi del protagonista nuovi orizzonti e anche per il lettore entrerà il colore in maniera preponderante e inizierà un vero e proprio viaggio tra i Territori, fatto di nuovi colori, nuove nazioni e nuove avventure.


E lo stile del disegno sarà sempre lo stesso o subirà una mutazione?

Personalmente prediligo mantenere un unico stile, anche per dare un senso di familiarità alla serie e al lettore.


The Red Harlequin come film o serie televisiva è concepibile? Ci stai lavorando?

E’ concepibilissimo! E infatti ci stiamo lavorando da ottobre scorso, cioè da quando io e la mia agente Lisa Hryniewicz siamo andati a proporlo al Mercato Internazionale dell’Audiovisivo (MIA) a Roma dove abbiamo avuto riscontri talmente entusiasmanti che hanno sorpreso anche noi.


Puoi farci qualche piccolo spoiler su cosa ci aspetterà nel futuro di questa serie?

Beh, non mancano certo i colpi di scena durante tutta la serie. Posso solo dire che ad un certo punto del suo viaggio Asheva incontrerà un arlecchino rosso...