Non so dalle
vostre parti, ma qui in Sicilia, Captain
Fantastic, non ha avuto una grande diffusione.
Mi è capitato di
vederlo per caso, nell’unico cinema di Catania che può essere definito
“d’essai” (sì, film bulgari con sottotitoli in norvegese, una cosa del genere),
che rispetta l’etica del cinema indipendente, con una programmazione che guarda
all’internazionalità e aiuta a conoscere piccoli capolavori, spesso in lingua
originale.
Comunque, Captain Fantastic (2016) è americano al
massimo, ma non nel senso hollywoodiano che potremmo intendere.
Scritto e
diretto da Matt Ross, qui al suo secondo lungometraggio, il film vede Viggo
Mortensen nei panni di una padre che cresce i suoi sei figli in una foresta,
in un percorso educativo che prevede un duro allenamento fisico (corsa,
arrampicata, caccia con arco e frecce), affiancato da un altrettanto pesante
studio serale basato sui classici della letteratura e su manuali scientifici e
tecnici per matematica e fisica. Senza dimenticare l’ora della musica.
Insomma, il film
è ambientato ai giorni nostri, ma questa famigliola americana vive in una
capanna fatta di legno e paglia, lontano dalla città, dall’industrializzazione
e, soprattutto, da altra gente.
Hippie, anticonformista,
chiamatelo come volete, ma qui abbiamo un intenso Viggo Mortensen che, come
recita il sottotitolo della locandina, prepara i figli a tutto, ma non alla
vita reale, che incombe minacciosamente quando la salute della moglie,
ricoverata in un ospedale, muore (non volevo rovinarvi nulla, siamo solo
all’inizio del film!).
Ben (Viggo
Mortensen), è costretto ad intraprendere un viaggio verso la civiltà, per far
rispettare le volontà testamentarie della moglie.
E qui decido di
non raccontarvi più nulla sulla trama, perché vorrei davvero che vedeste questo
film.
Cosa troviamo in
Captain Fantastic?
Sicuramente una
critica alla società americana contemporanea, così immersa nella materialità da
dimenticare il piacere del contatto con la natura, e così distratta da computer
e altre tecnologie da mettere in ultimissimo piano scuola e cultura in
generale. Divertente e spiazzante la scena del confronto tra uno dei figli di
Ben (davvero giovane), e il cugino cresciuto in città, più grande di lui:
vengono poste ad entrambi le stesse domande legate alla Dichiarazione dei
Diritti americana, ma il bambino cresciuto nella foresta snocciola i concetti
imparati perfettamente, dimostrando di averli anche compresi, mentre l’altro
ragazzino intuisce appena l’argomento.
Viene sbattuta
in faccia allo spettatore la contraddizione di una società che si diverte con
videogiochi e film violenti, ma trasforma in tabù la questione “sesso” quando
si parla ai bambini. Ben, con naturalezza, spiega al figlio minore come nascono
i bambini, senza utilizzare nomi fantasiosi per alludere al pene o alla vagina
(che poi il bimbo capisca tutto, quello è un altro discorso!).
Ma dove sono le
pecche dell’educazione che Ben impartisce ai propri figli?
Il figlio
maggiore non riesce minimamente ad approcciarsi alle donne e il primo tentativo
sfocia in una sua richiesta appassionata di matrimonio alla ragazza che con
lui, probabilmente, voleva solo divertirsi un po’. Questo perché non ha mai
avuto a che fare con i suoi coetanei. Lo stesso figlio invia “clandestinamente”
le richieste ai migliori college americani, ben sapendo quanto il padre sia
contrario all’istruzione istituzionalizzata. La famiglia si trova a rubare in
un supermercato, per “combattere il sistema” ecc… Si, ma rubano davvero, infrangono
la legge, diventano ladri a tutti gli effetti.
Lo stile di vita
imposto dal nostro “Captain Fantastic” ha quindi risvolti positivi e negativi.
Ma cosa resta, infine? Indovinate? Ebbene sì, l’amore profondissimo che lega
questa famiglia e la purezza (pur con qualche controindicazione pratica) che li
renderà per sempre diversi dagli altri.
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