Split, l’ultima opera di Shyamalan uscita da poco nelle sale italiane, è un
thriller che tocca picchi tanto orrorifici quanto grotteschi, in grado di
inchiodare il pubblico alla sedia e lasciarlo con il fiato sospeso tutto il
tempo, in attesa di un finale inaspettato (firma consolidata del regista) che
però non verrà svelato in questa recensione.
Kevin Wendell Crumb (James
McAvoy), uomo affetto da disturbo dissociativo dell’identità, ospita dentro di
sé ben ventitré personalità diverse che, alternandosi, entrano “nella luce”
(prendono controllo del corpo). In attesa della venuta della ventiquattresima, “La
Bestia”, Kevin rapisce tre giovani ragazze “impure” (che non hanno conosciuto
la sofferenza) e le tiene prigioniere in un sotterraneo blindato, in attesa di
offrirle alla creatura ferina che sta per venire alla luce.
Con un budget ridotto
Shyamalan si rimette in pista con un lavoro pregevole sia per la capacità di
trascinare in un vortice d’ansia lo spettatore, facendogli di tanto in tanto
riprendere fiato nei momenti di sedute psichiatriche di Kevin con la dottoressa
Fletcher (Betty Buckley), sia per l’ottima interpretazione di James McAvoy.
È notevole come il cineasta
riesca a non perdere il controllo di un personaggio così complesso e
sfaccettato e a non cadere in una trama nonsense. L’espediente di un tale
numero di individui dentro lo stesso corpo amplifica ed evidenzia la lotta
interiore che in fin dei conti corrode ogni uomo, puntandovi i riflettori contro.
Lo spettatore è messo di fronte alle mille facce di Kevin, ma anche alle
proprie, e questo rende Split così
conturbante. Il personaggio interpretato da McAvoy ha iniziato ad avere tale
disturbo psichiatrico a seguito di un passato traumatico, orrore che però gli
ha permesso di evolversi. La dottoressa Fletcher ci illumina a questo riguardo:
chi soffre di disturbo dissociativo d’identità non è da considerarsi inferiore,
semmai il contrario. Questi individui mettono luce sulle potenzialità della
psiche umana che è in grado di sviluppare addirittura capacità fisiche
differenti specifiche per ogni identità, solo grazie alla forza di convinzione.
Ciò in cui si crede diventa vero, pure gli incubi più terribili come “La Bestia”.
La ventiquattresima identità, si lascia presagire essere una creatura superevoluta
e al contempo terrificante.
Shyamalan dissemina
richiami zoologici in tutta la pellicola: delle statue, i disegni nella
cameretta di Hedwig (una delle personalità di Kevin), il nome della
ventiquattresima identità. Eppure la bestialità irruenta non è evocata solo da
Kevin. La sofferenza profonda definisce anche il personaggio di Casey Cook
(Anya Taylor-Joy): le cicatrici del suo passato, che emergono grazie ai
frequenti flashback, l’hanno forgiata e hanno potenziato la sua intuitività, la
sua furbizia e la capacità di sopravvivenza in un tale contesto in cui le due
compagne, invece, reagiscono con più impulsività. L’atteggiamento solitario e
asociale di Casey, criticato dalle coetanee nell’incipit del film, scaturisce
dalla ferinità brutale umana con cui ha dovuto scontrarsi, così come il disturbo
di Kevin nasce proprio dal male subìto. Eppure il dolore, secondo le parole di Dennis
(una della ventitré personalità), in particolare, sembra necessario per poter
accedere a uno stato superiore: chi ha sofferto dunque ha raggiunto la
“purezza”.
Ciò che
contraddistingue il personaggio interpretato da McAvoy rispetto agli altri, è
la potenzialità presagita di dare forma a qualsiasi personalità, anche a“La
Bestia” che, tutto sommato, si può celare dentro ognuno di noi. Ma attenzione:
Shyamalan non condanna in toto il personaggio né lo dipinge come un cattivo
punto e basta. Kevin è molto di più, anche “La Bestia” sembrerebbe essere
qualcosa di più di un semplice “mostro”.
Guardare Split, dunque, significa lasciarsi
affogare nell’oscurità da un regista visionario che, però, lascia intravedere una
“luce” in cui lo spettatore può decidere quale parte di sé far stare.
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