mercoledì 15 marzo 2017

Man in the Dark. Non svegliare il can che dorme



Man in the Dark è un horror thriller di Fede Alvarez uscito nelle sale italiane lo scorso settembre. Il titolo originale, Don't breathe, cioè “non respirare”, oltre a suggerire la condizione dei protagonisti che devono stare attenti a non fare il minimo rumore, nemmeno quello del loro respiro, anticipa lo situazione in cui cadrà lo spettatore durante la visione del film: uno stato d'ansia che toglie il fiato! A tal proposito mi permetto di aggiungere che non condivido la scelta di non mantenere il titolo originale, senza ombra di dubbio più pertinente. 
Rocky (Jane Levy) spinta da una situazione domestica disagiata, decide con il suo ragazzo Money (Daniel Zovatto) e il fidato amico Alex (Dylan Minette) di mettere insieme una serie di furti per poter fuggire da Detroit. L'ultimo colpo è quello decisivo, quello che deve finire col botto: rubare un'ingente somma di denaro, almeno trecentomila dollari, che permetterà ai tre giovani di cambiare vita. E questo furto, che si accingono a mettere in atto, sembra davvero un gioco da ragazzi: la vittima infatti non è altri che un vecchio cieco (Stephen Lang), che ha ricevuto una tale fortuna come rimborso da parte della famiglia della donna che ha investito la sua unica figlia. Il non vedente però è un ex veterano di guerra, e la mancanza della vista non lo mette in difficoltà di fronte ai giovani ladri che, con loro sorpresa, si troveranno incastrati in una casa che sembra blind-ata!
​Una sensazione di oscuro terrore aleggia già nella scena iniziale: una ripresa aerea che si avvicina alla figura di un uomo intento a trascinare una ragazza per i capelli lungo una strada deserta in penombra, nella desolata Detroit. Un personaggio, quello del vecchio, che si presenta dunque tutt'altro che innocuo e indifeso.
Un monito della pericolosità del cieco, è dato ai tre ragazzi quando si accingono ad attuare il colpo. Sono infatti costretti a occuparsi di un aggressivo rottweiler che fa da guardia alla dimora chiusa con mille chiavistelli, una sorta di cerbero che custodisce la soglia per l'entrata all'inferno. Tanto è vero che quell'abitazione apparentemente comune, si sviluppa sopra a un piano interrato, un rifugio anti tempesta. Sarà proprio in quella profondità che i ladruncoli si troveranno a vivere i momenti di maggior terrore, soprattutto quando il vecchio spegnerà il generatore della luce lasciando gli intrusi vagare nel buio, nelle tenebre del terrore, costretti a far affidamento a tutti i sensi fuorché la vista. L'olfatto è il secondo senso più sfruttato dal cieco: come un segugio, alla pari del suo famelico rottweiler, annusa l'aria pronto a scovare l'odore degli estranei, quasi come una bestia. 

Alvarez si avvale di una regia curata, concedendosi qualche virtuosismo come il piano sequenza che esplora la casa del vecchio, soffermandosi su dettagli e oggetti che poi verranno ritrovati durante il film, o l'uso dell'effetto "vertigo" omaggiando Hitchcock. Interessante ed efficace anche l'uso degli infrarossi nella sequenza in cui i protagonisti arrancano al buio, ignari dei movimenti dell'ex veterano di guerra, scelta registica che a mio avviso apre la strada a un effetto di maggior tensione.
La visione di Man in the Dark, variante efficace del genere home invasion, vi terrà incollati alla sedia per quasi un'ora e mezza, in apnea per non interrompere i momenti di “assordante silenzio”! Mi raccomando, Don't breathe!

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