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giovedì 22 febbraio 2018

Everything sucks! Il ritorno dei '90

Everything sucks! Serie tv per adolescenti targata Netflix, uscita il 16 febbraio è composta da 10 episodi da 25 minuti.


L’ho divorata in meno di 24 ore, erano mesi che la stavo aspettando ed essendo composta da episodi molto brevi, mi ha aiutato.

Ambientata nel 1996 nella cittadina di Boring segue la vita di alcuni liceali, divisi in due club quello di teatro e quelli dell’audiovisivo. Inizialmente i due gruppi s’ignorano, poi non si sopportano e alla fine uniscono le loro forze per creare un “prodotto”.

Si potrebbe dire che i protagonisti sono sei, con membri dei club secondari. Luke O’Neil (Jahi Di'Allo Winston), frequenta il primo anno di liceo, insieme ai suoi inseparabili amici Tyler(Quinn Liebling) e McQuaid (Rio Mangini),  s’iscrivono al club dell’audiovisivo, il che consiste nel seguire le riprese del telegiornale scolastico. Luke incontra Kate Messner (Peyton Kennedy) e se ne innamora perdutamente, la ragazza è la figlia del preside e gli amici lo mettono in guardia: se iniziasse a frequentarla per loro le cose potrebbero mettersi male, diventando facili bersagli.

Ma questo problema è secondario. Il club del teatro è frequentato dai fichi della scuola (ma non lo erano i giocatori di football e le cheerleader?) Emaline (Sydney Sweeney) e il fidanzato Oliver (Elijah Stevenson). Luke e Kate iniziano a frequentarsi, lui tenta di baciarla, ma lei fa scattare l’allarme antincendio allagando tutto il teatro della scuola. A questo punto il club di teatro non potrà più andare in scena e inizieranno a perseguitare Luke, per essere la causa di questa tragedia. Alla fine i due club uniranno le loro forze per girare un film ed accontentare così tutti.

La serie è carina, non entusiasmante, probabilmente gli episodi sono troppo corti e i due club fanno amicizia troppo presto, manca un vero antagonista, il disturbatore della serie. Kate Messner sembra una versione omosessuale di Joy Potter di Dowson’s Creek, in realtà questo telefilm lo ricorda molto, solo che a differenza dell’originale in questo non usano paroloni o concetti filosofici degni di Schopenhauer.

Sembra un grandissimo videoclip musicale in stile anni ’90 e questo aspetto mi è piaciuto un sacco, anche se è ambientato in quegli anni nel contenuto e nel linguaggio non li rispecchia per nulla, la sessualità non veniva affrontata in maniera così esplicita e i ragazzini non rispondevano mai in maniera maleducata ai genitori o agli adulti in generale. La recitazione di alcuni è un po’ sopra le righe, stile Kiss me Licia con Cristina D’Avena, che per i protagonisti di teatro, un po’ può starci, ma svilupparla per 10 episodi diventa un po’ stancante. La serie si conclude con alcuni punti interrogativi, che probabilmente verranno risolti nella seconda stagione, quasi sicuramente la guarderò, ma non la sto aspettando con ansia, non è una di quelle serie che termina e ti viene da dire “Cavoli (o qualche altra parolaccia) quanto devo aspettare adesso???”. 

lunedì 19 febbraio 2018

A casa tutti bene, l'isola dello sclero!

A casa tutti bene è l’ultimo film di Gabriele Muccino, in questo film vengono riunite alcune vecchie conoscenze del suo cinema. La storia, sembrerebbe buona, lo svolgimento decisamente peggio: Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti) per il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio radunano tutti i parenti più stretti, figli, fratelli e nipoti su un’isola. Tutti dovrebbero rimanere il tempo della cerimonia e i festeggiamenti, ma arriva un forte temporale che blocca tutti i traghetti, quindi l’allegra famigliola sarà costretta a convivere per almeno due notti. Ci sono talmente tanti personaggi che per scrivere la recensione mi sono dovuta fare un albero genealogico, ma la cosa è che a tutti si vuole dare spazio, così si finisce per avere piccoli frammenti di storie e nessun quadro completo della situazione.
I festeggiati hanno tre figli: Paolo (Stefano Accorsi) il ribelle della famiglia, scrittore, artista, intellettuale, viaggiatore; Sara (Sabrina Impacciatore) sposata con  Diego (Giampaolo Morelli), hanno un figlio e lui la tradisce (con Tea Falco, per tutto il film avevo il terrore di vederla sbucare, pregavo perché non avesse un ruolo principale per non sentirla recitare per molto tempo e grazie al cielo ha avuto una particina di pochissimi minuti, recitati come al solito alla sua maniera, mi chiedo, ma sta ragazza perché recita?); Carlo (Pierfrancesco Favino), divorziato dalla dolcissima Elettra (Valeria Solarino) e risposato con la schizzata Ginevra (Carolina Crescentini) e beato tra le donne ha due figlie, tutti e cinque (più il migliore amico della figlia maggiore) sono presenti alla cerimonia. La seconda moglie è ossessionata dalla prima e il drammone è servito come un pranzo di Natale. Alla cerimonia è presente anche la sorella di Pietro, Maria (Sandra Milo, ogni volta che parlava mi aspettavo che iniziasse ad urlare “Ciro”, peccato che uno dei suoi figli non si chiamasse così nel film), meno ricca ed economicamente meno fortunata del fratello, ha due figli: Riccardo (Gianmarco Tognazzi) e Sandro (Massimo Ghini). Sono questi membri della famiglia a muovere un po’ tutta la situazione e a mettere in risalto tutte le ipocrisie dell’altro ramo della famiglia. Le coppie più riuscite, perché autentiche, che cercano di prendere di petto le loro difficoltà e non le nascondono sotto il tappeto come fossero polvere sono Riccardo e la moglie Luana (Giulia Michelini), i due aspettano un figlio e sono in serie difficoltà economiche, vengono trattati come pezze da piedi, tant’è che li mettono a dormire su un materasso, per terra. Si può far dormire una donna incinta per terra e dare il letto a due adolescenti? Non vi dico la rabbia. Riccardo vorrebbe tornare a lavorare al ristorante dei cugini, ma loro non lo rivogliono assolutamente, Luana osserva i tentativi del marito di elemosinare un impiego e strisciare ai piedi dei parenti, alla fine sbotta gettando in faccia tutte le verità degli altri componenti della famiglia. Una grande, avrei voluto tanto alzarmi in piedi ed applaudirla. L’altra coppia è quella composta da Sandro e la moglie Beatrice (Claudia Gerini), lui è malato di Alzheimer, spesso fa ridere, perché è regredito ad uno stato infantile però nella risata a me ha messo tristezza, chi conosce questa malattia sa che c’è poco da ridere e Beatrice lo sa, deve prendere una decisone per lei e per il marito, urla in faccia al fratello di Sandro quello che sta passando, insieme allo sclero di Luana, tra le scene più riuscite del film. Forse le uniche.

Azzarderei a dire che è tra i film meno riusciti di Gabriele, urla inutili, personaggi piatti, macchina da presa frenetica che rincorre i personaggi che litigano rincorrendosi per tutta la casa, per le salite dell’isola (bisogna far movimento se si vuole recitare ansimando), si cerca il movimento anche quando non è importante. Manca una riflessione, su cosa dobbiamo riflettere? Sull’ipocrisia borghese? Di nuovo? Se voleva farlo, questa volta è uscito male, mancano gli ambienti borghesi, manca una direzione precisa dei personaggi e della storia stessa. Peccato, è un film che non è né carne, né pesce! 

martedì 13 febbraio 2018

Carnevale, su la Maschera!

Per festeggiare Carnevale noi FilmLovers abbiamo deciso di "mascherarci", ovviamente a tema cinema! Come sempre ne avremo per tutti i gusti, Su la maschera!


Francesca Guarnieri consiglia, Marie Antoinette (Sofia Coppola, 2006)


Se dovessi vestirmi come un personaggio di un film per carnevale, prenderei due piccioni con una fava. Il mio “vestito” non è solo filmico, ma anche storico: Marie Antoniette, il film è di Sofia Coppola con Kirsten Dust nei panni della regina di Francia. Nella pellicola del 2006, si racconta la vita di corte di Maria, la sua vita a Versailles, il matrimonio con Luigi XVI, l’adulterio, la rivoluzione, il tutto condito con una spruzzatina di pop (neppure tanto –ina). Gli abiti sono stati disegnati da Milena Canonero.
Piccola curiosità Dall’undici febbraio fino alla fine di maggio, gli abiti originali del film saranno in mostra alla Sala Mostre Temporanee del Museo del Tessuto di Prato, Marie Antoniette. I costumi di una regina da Oscar
La mia scelta è più estetica, che storica, gli abiti del film sono spettacolari e mi piacerebbe avere un bustino che mi faccia un vitino da vespa, forse con le parrucche mi andrebbe peggio, ma in una scena del film la regina ha i capelli rosa, l’ho già provato e averlo è stato adorabile (mia madre non è della stessa opinione).
Non voglio dare altre informazioni, ma lasciarvi ammirare gli abiti del film con un collage. 


Stenia Grassetto consiglia, Via Col Vento (Victor Fleming, 1939)


Sin da bambina, una nota cinefila era presente nei miei festeggiamenti per il Carnevale ed era Via col Vento, cioè il mio travestimento era molto simile ai costumi usati da Rossella o meglio Scarlett (interpretata dalla meravigliosa Vivien Leigh) e Melania (Olivia De Havilland). Il destino vuole che questo film sia tra i più visti nella mia vita e sia il più visto della storia del cinema.
Da bambina non capivo Scarlet O’Hara continuava a correre dietro a Ashley (Leslei Howard) che non le ha mai dato speranza e respingeva il più fascinoso Rhett Butler (Clark Gable) chiaramente innamorato di lei; più avanti con il tempo l’ho capita.
Scarlet non è innamorata di una persona e per questo uno dei personaggi più autentici della storia del cinema, Scarlet è innamorata di un’idea, un’idea di un passato legato alla decadenza di un’aristocrazia terriera già “morta” che muore “fisicamente” nella guerra di Secessione americana (1861-1865); Rossella è la voglia di vivere e la capacità di sopravvivere a tutto perché infondo “Domani, è un altro giorno!


Giada Ravara consiglia, I Tenenebaum (Wes Enderson, 2001)


Nelle vesti di chi mi calerei per Carnevale? Il primo nome sulla mia lista è di certo Margot Tenenbaum.
È da sempre uno dei miei personaggi femminili preferiti: cinica, sofisticata e irrimediabilmente depressa.
Gwyneth Paltrow interpreta nel film di Wes Anderson “I Tenenbaum” la figlia adottiva di Royal e Etheline, geniale scrittrice prodigio che conduce una vita in costante fuga dalla noia che la tormenta, osservando una maniacale riservatezza.
Margot è impeccabile nella mise che ripropone in quasi tutto il film: caschetto con molletta rossa a fermare il ciuffo, trucco nero pesante sugli occhi, vestitino a righe Lacoste, pelliccia di visone, borsa Kelly di Hermes e mocassino marrone. Iconica con la sua sigaretta sempre accesa, perché diciamolo: fumare fa molto male, ma da un certo tono (SOPRATTUTTO NEI FILM). Le manca un dito, ma in Margot anche questa imperfezione non fa che aumentare l’allure di mistero che la circonda.
La sua vita sentimentale è costellata da turbolenti relazioni; un amore saffico parigino, bizzarri flirts e matrimoni segreti con personaggi eccentrici, fino all’ultimo marito, interpretato da Bill Murray, un maturo accademico che ovviamente stravede per lei. Nonostante le sue numerose avventure, Margot ha da tutta la vita un unico e straziato amore: il fratellastro Richie (Luke Wilson), che si strugge per lei fin da ragazzino.
Ecco, insomma vorrei anche io per un giorno sentirmi una figa assurda, fregandomene comunque beatamente di tutto e di tutti. Anche se in verità qualcosa in comune io e Margot l’abbiamo: il bagno è il nostro buen ritiro prediletto, in cui passare interminabili ore in vasca o rifarci lo smalto. Provare per credere.
Cosa le invidio di più? No, non il suo fascino e stile inconfondibile, troppo facile. Nemmeno il sapore malinconico che la contraddistingue. La cosa che vorrei tanto avere è il suo imperturbabile approccio alla vita, immune ai cambiamenti e alle avversità, che rende Margot Tenenbaum un personaggio atipico, superbamente eterno.

Laura Perrotti consiglia, Cenerentola (Kenneth Branagh, 2015)

Ebbene sì. sono una grande fan di Cenerentola fin dalla più tenera età.
Quando era una bambina mi sono vestita da Cenerentola per anni, e ogni anno aggiungevo qualcosa al vestito, il risultato finale è degno di quello del film. 
C'è qualcosa nel personaggio di Cenerentola che amo da sempre, forse perchè mentre fa le faccende di casa canta a squaciagola come se fosse la cosa più naturale del mondo (lo faccio anche io, ma non sono proprio spensierata), forse per il romantico ballo a palazzo o semplicemente perchè alla fine la sua bontà viene ripagata e da serva delle sue sorellastre (o come le chiamavo da bambina "sorellacce") sposa il principe e diventa regina. 
Ci sono molte versioni cinematografiche di questa fiaba, quella più famosa è il cartone della Disney del 1950; però io ho apprezzato molto anche la versione live action diretta da Branagh. 
In questo film i costumi sono una delle componenti più curate, sono fastosi e davvero "da fiaba". Diciamo che, dopo di me, Lily Collins è la Cenerentola più elegante di sempre.


domenica 11 febbraio 2018

Gabriele Muccino Made in Italy! - Ricordati di me! Siamo giunti al termine

Siamo giunti al termine, di questa magica carrellata sui primi film italiani di Gabriele Muccino, abbiamo iniziato quasi un mese e mezzo fa questa avventura tra grandi attori e pessime prove di
recitazione con Ecco fatto, siamo passati al nostalgico Come te nessuno mai, all’amore e odio dell’Ultimo Bacio fino ad arrivare a Ricordati di me. Lo ammetto, lo ricordavo molto poco in realtà. Con questo film il mio interesse per Gabry se ne va in America.  Il film inizia con una voce fuori campo, stile il favoloso mondo di Ameliè (il narratore in entrambi i film è Omero Antonutti).  Carlo (Fabrizio Bentivoglio) e Giulia Ristuccia (Laura Morante) (si chiamano come i protagonisti de L'ultimo bacio, mentre il cognome è della famiglia di Silvio di Come te nessuno mai, il cerchio si chiude). Carlo e Giulia sono sposati, hanno due figli, Paolo (Silvio Muccino) e Valentina (Nicoletta Romanoff), un lavoro, un cane, vivono in un appartamento, in un palazzo "borghese" (la borghesia, tanto cara a Muccino) a Roma.  Tutto sembrerebbe filare, ma Carlo e Giulia non sono felici, entrambi hanno sacrificato i loro sogni per non si sa cosa, forse per amore, anche se non sembrerebbe quello il reale motivo, visto che Giulia ha avuto due sbandate e Carlo avrà la sua nel film (in tutti i sensi, se non avete visto il film, non anticipo).  Lei voleva fare l'attrice di teatro, ma si ritrova a fare l'insegnante.  Lui, voleva fare lo scrittore, ma lavora in un ufficio (non ho ben capito che lavoro faccia, chiude contratti, ma non so di che tipo). Alla festa degli ex compagni Giulio rivede Alessia, la fidanzatina del liceo, una sempre bellissima quanto incapace di recitare Monica Bellucci. A Giulio scoppia l'ormone nostalgico, si sente giovane, riprende a scrivere, scappa al mare con Alessia e vorrebbe mollare la moglie.  Poi ci sono i due figli, Paolo all’ultimo anno di liceo, si sente in crisi, vuole essere accettato dal suo gruppo di amici, fumarsi kili di maria senza andare in collasso e fidanzarsi con la sua compagna di scuola, una giovane finta frichettona, intellettualmente impegnata con le perle Ilaria (Giulia Michelini).  Valentina vorrebbe farsi tutti i produttori, registi e presentatori della tv pur di diventare una valletta. Se li fa e diventa una “velina”. Le cose restano molto sospese, quasi tutti ce la fanno, ma al termine del film, rimane un alone di sospensione (neppure tanto velata, anzi), di blocco fotografico su di un attimo che preannuncia una morte, intesa come la fine di qualcosa. Però non si sa, ci vorrebbe come per L’ultimo Bacio un sequel dal titolo Ricordiamoci di loro. Ha alcuni interessanti spunti, da un punto di vista tecnico e formale è riuscito, però come già ho detto non sono film così tanto impegnativi, dopo averne fatti tre costruiti tutti nella stessa maniera è normale che dopo tanto esercizio sia uscito bene (ascensori, palazzi, interni, le corse liberatorie per Roma).

 Ora prima di salutarvi e darvi appuntamento a dopo San Valentino (esce A casa tutti bene), posso darvi alcuni consigli per superare un provino con Gabry (presumo girerà altri film in Italia):
-      Allenatevi come se doveste correre la maratona di New York, vi farà sicuramente correre dopo un momento di gioia infinita.
- arrivare al provino correndo, così avrete il fiatone prima di parlare seduti in divano e chiedere in qualsiasi scena “Che pensi”, “Chi sono”, il fiato corto crea phatos.
- parlare come se avessimo un kilo e mezzo di ceci, conditi con semi di chia imitando Jovanotti, fingendo che il nostro interlocutore sul divano (generalmente un famigliare o una persona che ci conosce da almeno 20 anni) sia un 90enne senza apparecchio acustico (ricordate sempre di ansimare.
- Fingete di essere politici di sinistra, trasandati e impegnati (tutto per finta), però chiedere sempre agli altri quello che pensano, ma non di un argomento x, ma di te!
-Essere in crisi o fingersi in crisi anche se sei una futura letterina con il qi pari a quello di una cimice asiatica in trasferta nel Veneto.


Però questo andava di moda nei primi anni 2000. Aspettiamo il prossimo per vedere se in America sono nate nuove esigenze.

P.S. C'è il grandissimo Pietro Taricone, dovevo dirlo, altrimenti la Perry non mi parla più! 

sabato 3 febbraio 2018

Mike & Dave: la medicina per il rientro dalle vacanze!

Ho visto questo film il primo lunedì dal rientro delle vacanze di Natale e mi stavo annoiando tantissimo. Quindi ho aperto Sky go e scelto un filmetto, qualcosa di molto leggero: Mike & Dave un matrimonio da sballo. Guardiamo, si è anche unita a me la mia dolce metà pelosa (vedi foto).




Dopo meno di due minuti di film posso già azzardare una brevissima trama, o almeno dire quali saranno i segni distintivi di questo capolavoro (ironica, si): Mike (Adam DeVine) e Dave (Zac Efron) sono due fratelli, alcool e feste. Ho un po’ il sospetto che sia tipo Due single a nozze.

Mike e Dave rovinano sempre le feste di famiglia, per questo i genitori li obbligano a presentarsi al matrimonio della sorella accompagnati da due ragazze. I due si impegneranno a trovare delle Baby sitter, mettendo un annuncio in internet, la cosa è così virale che verranno invitati in uno studio televisivo.

Dall’altra parte abbiamo le due fortunate, le versioni al femminile di Mike e Dave, Alice (Anna Kendrick) e Tatiana (Aubrey Plaza). Le due inganneranno i fratelli, fingendo che l’incontro sia del tutto casuale.

I 4 partono per le Hawaii. Disagio. Ne combineranno abbastanza, non tantissime, non è un film tipo Una notte da Leoni, ma una sorta di Pitch Perfect senza le canzoni a cappella; anche due degli attori (DeVine e Kendrick) sono in Pitch Perfect e sul finale i quattro protagonisti cantano tutti insieme.

Tra le due coppie vi è un rapporto morboso e di complicità, Dave ed Anna sono più timidi, insicuri, dolci ed apprezzati dagli altri a differenza di Mike e Tatiana che sembrano detenere il “potere” della coppia, in realtà dietro alla maschera degli arroganti, manipolatori, si nascondono due personalità molto fragili che hanno il continuo bisogno di proteggere gli altri due.

Non vi è molto su cui riflettere, nessuna doppia lettura ironica sulla società, solo un filmetto carino e divertente (parecchio divertente) che mi ha fatto passare un paio di orette sul divano, prima di andare ad aprire la biblioteca.
Bene, buona visione!

Ah, prima di lasciarvi vorrei farvi notare due cose, la prima: Zac Efron prende un extra per recitare almeno una scena senza maglietta?
Nel film viene citato il film Due Single a nozze, che vi avevo detto all’inizio? 

martedì 30 gennaio 2018

FilmLovers seriali, le serie cult del blog

Non si vive di solo cinema, motivo per cui esistono le serie TV!
Abbiamo deciso di rivelarvi le nostre serie del cuore, che siano vecchie, nuove, lunghe o brevi per noi FilmLovers sono dei veri cult!
Leggete e rivelateci la vostra serie cult!



Stenia Grassetto consiglia Firefly

Firefly è (probabilmente) la serie tv più cult di uno degli autori televisivi più cult, Joss Whedon; boicottata dai produttori, tanto da essere “chiusa” dopo 14 episodi, amata dai fan e dall’autore. Perchè è da vedere?
Perchè è un Neo Western cioè un ibrido tra western e fantascienza e i protagonisti sono degli space cowboy (il capitano/ex-militare, il conducente/pilota dell’astronave Firefly, la prostituta, il medico, il reverendo).
Perché il Capitano Malcom Reynolds ha un’etica profonda e appassionata; Nathan Fillion, l’interprete principale della serie e di Castle, ama il personaggio tanto da indossarne le vesti durante i party di Halloween nella serie omonima.
Perché l’attore protagonista e l’autore non hanno mai messo da parte l’idea di continuare la serie.
Perché l’attivismo dei fan ha permesso di realizzare il film Serenity, continuazione degli eventi della serie.
Perché la serie sta continuando come grafic novel.
Ecco perché è da recuperare.



Laura Perrotti consiglia Saranno Famosi

La mia serie cult è Saranno Famosi che è forse la prima serie tv che ho visto per intero (e anche diverse volte!).
Saranno Famosi racconta della vita degli studenti della New York School of Performing Arts, una scuola superiore dove oltre a letteratura e matematica si insegna anche music canto recitazione e danza, insomma, per chi mi conosce, è il mio ideale di paradiso (infatti da ragazzina volevo emigrare a New York per studiare lì e non frequentare il liceo).
Saranno famosi è un cult per la sua sigla, Fame!
Ho amato molto questa serie non solo per il lato da musical ma anche per il fatto che non puoi non amare i suoi personaggi, il più iconico è Leroy Johnson (Gene Anthony Ray), un ragazzo afroamericano tanto sfacciato quanto talentuoso, ma ci sono anche Bruno Martelli (Lee Curreri), Danny Amatullo (Carlo Imperato) e Doris Swartz (Valerie Landsburg). Sono dei gran bei personaggi anche molti dei professori, come Shorofsky (Albert Hague) e Lydia Grant, la prof di danza interpretata da Debbie Allen (ora Catherine Avery in Grey’s Anatomy). 
Se vi state chiedendo come mai una ragazzina nata negli anni Novanta abbia come serie cult un telefilm degli anni Ottanta basta guardare la sigla!



Sonia Madini consiglia Mad Men

Serie iniziata nel 2007 e conclusa poco più di due anni fa, se non l'avete vista è assolutamente da recuperare. 
Le puntate ci immergono nel mondo pubblicitario newyorkese degli anni '60, seguendo le vicende del misterioso e geniale direttore creativo Don Draper (John Hamm), della sua famiglia e dei suoi collaboratori (fra cui una fantastica Elisabeth Moss, celebre protagonista di The Handmaid's tale). A fare da contorno i grandi stravolgimenti sociali in atto in quegli anni e gli eventi storici che hanno segnato il decennio: tra i tanti la contrapposizione Nixon Kennedy, la crisi dei missili di Cuba, la lotta afroamericana per i diritti civili. Un ritratto storico pieno di dettagli, con personaggi carismatici, che evolvono e crescono. Guardare almeno una puntata per credere!



Giada Ravara consiglia Will e Grace

Correva l’anno 2001 quando per la prima volta venne trasmesso in Italia “Will e Grace”. Io avevo solo dieci anni, ma ricordo benissimo quanto rimasi folgorata dallo sfavillante universo che gravitava attorno ai due protagonisti della sit-com americana.
Will è un avvocato gay di successo che condivide un appartamento a New York con la sua migliore amica Grace, una nevrotica arredatrice. I due sono uniti da un profondo legame affettivo e dalla totale sfortuna per quanto riguarda le questioni di cuore! Le loro vicende raccontano molto bene la rampante generazione dei trentenni sull’orlo di una crisi di nervi, divisi tra la ricerca del successo personale e quella del grande amore. 
Will and Grace assume toni esilaranti grazie soprattutto ai due personaggi secondari, assolutamente “sui generis”: Jack, l’amico attore di Will, e Karen, l’altolocata segretaria di Grace. Jack e Karen, eccentrici e politicamente scorretti, sono per me la vera chiave del successo dello show: fanno da contraltare ai due perfettini protagonisti, arrivando spesso a rubargli la scena con i loro improbabili teatrini.
La serie ebbe un importante successo e diventò un vero fenomeno di costume in quanto finestra sulla cultura LGBT americana, rappresentata con sagace ironia e leggerezza che ancora oggi non ha paragoni. Non sono mai mancati i riferimenti politici, sempre nel nome del sostegno della causa per i diritti degli omossessuali: ultimo il web-episodio speciale lanciato dopo dieci anni dalla fine della serie a sostegno della candidatura alle presidenziali del 2016 di Hillary Clinton. 


Francesca Guarnieri consiglia Beverly Hills 90210

Una serie tv, che ho visto, che vedrei e rivedrei è: Beverly Hills 90210, iniziata negli anni ’90 e terminata all’inizio del nuovo millennio. Volevo cambiarla per non essere scontata, ma sarei finita a scegliere una serie anni ’90, quindi poco cambiava.
Beverly Hills è la storia dei gemelli Walsh, due adolescenti che dal Minnesota si trasferiscono con tutta la famiglia nella caldissima e ricchissima Beverly Hills. Brenda (Shannen Doherty) e Brendon (Jason Priestley) dovranno ricominciare da zero, fare nuove amicizie e qui entrano in campo i 6 amici: Kelly (Jennie Garth), Donna (Tori Spelling), Andrea (Gabrielle Carteris), Dylan (Luke Perry), David (Brian Austin Green) e Steve (Ian Ziering).
Casa Walsh sarà un punto di riferimento, l’unione sana e genuina della famiglia riuscirà ad essere di conforto ed aiuto ai giovani amici dei due fratelli.Non cadrò nella disputa team Brenda o Kelly, ovviamente tifavo per la prima, però posso dire che non tutte le stagioni della serie sono state entusiasmanti come le  prime quattro, dall’uscita di scena di Brenda la serie ha preso una strana piega.Perché vedere le prime stagioni? Per i nostalgici, sarete avvolti da un’atmosfera adolescenziale, in generale, perché è una dei primi Teen drama, che con coraggio ed audacia ha affrontato vari temi: droga, anoressia, alcolismo, Hiv, prevenzione tumore al seno, suicidio (ben prima di 13) e altro.




domenica 28 gennaio 2018

Gabriele Muccino Made in Italy! - L'ultimo bacio: che non è stato ultimo!

15 anni fa, si diventava adulti a 30 anni, 15 anni prima si diventava adulti verso i 20. Oggi forse, adulti non lo si diventa mai. Ne L’ultimo Bacio Muccino, racconta proprio quel passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta dei primi anni 2000, una crisi esistenziale che non si esaurisce con il termine dell’adolescenza ma che si prolunga e fa solo danni.  

In questo film vengono descritti degli uomini ragazzini, che tentano in tutti i modi di scappare dalle responsabilità, che vogliono ancora evadere. Da una parte i sono i trentenni, dall’altra i cinquantenni in crisi, rappresentati dalla mamma di Giulia (Stefania Sandrelli) e la sua cricca di amici. Nessuno vuole invecchiare, nessuno vuole maturare, a tutti manca sempre il respiro, il fiato si blocca tra un’età psicologica e le convenzioni sociali, che in questo film bloccano la voglia di vivere ai protagonisti. 

L’ultimo Bacio racconta la vita di 5 trentenni, tutto ruota attorno a Carlo (Stefano Accorsi) e Giulia (Giovanna Mezzogiorno) che sono i veri protagonisti, lei innamoratissima, incinta di tre mesi, lui ha quasi trent’anni e non si rende ancora del tutto conto che diventerà padre. Al matrimonio di uno dei cinque, forse il più maturo, infatti poche volte lo vediamo con gli amici, Marco (Pierfrancesco Favino), Carlo incontra la diciottenne Francesca (Martina Stella) lei lo porta sulla casetta sull’albero e lui retrocede in modalità infantile, inizia a ragionare con un altro organo del suo corpo, che non è propriamente il cervello…o il cuore e manda a quel paese fidanzata e figlia. Inizia così una pseudo relazione con la ragazza, senza lasciare la compagna, no, troppo semplice, significherebbe avere capacità decisionale, cosa che Carlo per quasi tutto il film non ha. 


Accorsi, Favino, Santamaria, Cocci e Pasotti


Poi ci sono gli altri tre Paolo (Claudio SantaMaria)Alberto (Marco Cocci) e Adriano (Giorgio Pasotti). Il primo lavora nel negozio di articoli religiosi di famiglia, si è appena lasciato dalla fidanzata, che odia e ama allo stesso tempo. Giorgio Pasotti, marito di una donna che non sopporta più, decide di lasciare Livia (Sabrina Impacciatore) e il loro figlio, non vuole che il bambino cresca con due genitori che non si amano più (lei sclera parecchio e un po’ di ragione ce l’ha a lasciarla). Marco Cocci è l’alternativo del gruppo: fa uso regolare di droghe leggere, vive relazioni occasionali ogni sera e vuole viaggiare, sarà lui a spronare gli altri due a prendere una decisione e a farli evadere, partendo in un viaggio che volevano fare da molto tempo. 

Oltre ai 5, ci sono i genitori di Giulia, una coppia che dopo trent’anni di matrimonio affronta una crisi, a quanto pare una nuova crisi, lei si sente trascurata, lui sicuro del suo amore per lei, vorrebbe dei brividi, a lui la vita di coppia va bene così, io dico però, se ti sposi un bradipo non puoi pretendere che dopo trent’anni questo diventi un ghepardo, non mi sembra una metamorfosi accettabile. Questo film quando è uscito l’ho adorato (Poi c’è la canzone di Carmen Consoli che sotto vi linko perché merita), rivederlo dopo tutti questi anni mi ha un po’ destabilizzata: ho trent’anni e forse sono diventata troppo pretenziosa con i film che vedo (questo commento sembrerebbe assurdo visto che sono una fan numero 1 delle commedie demenziali, però da quelli seri esigo disciplina e rigore, ovviamente scherzo, un po’). Ho vissuto queste due ore scarse con sentimenti contrastanti, da una parte mi ha messo il nervoso, dall’altra mi ha commosso, soprattutto il finale (io non l’avrei perdonato manco morta) quando Carlo per la prima volta riflette sulla scelta che ha fatto post tradimento, della vita che finalmente decide di scegliere e di accettare.   

P.S. Se vi interessa e, magari non lo sapere, anche se dubito fortemente, esiste il sequel Baciami Ancora, del quale non ce ne era bisogno, si poteva (per me) fare benissimo a meno! 


sabato 20 gennaio 2018

Dieci motivi per amare American Crime Story, Il caso O. J. Simpson



Perry e Ceschina sono tornate! Dopo aver avuto grossi dubbi su 13 Reasons Why e aver demolito il remake di Dirty Dancing, hanno trovato una serie da amare: Il caso O. J. Simpson.

Se lo avete perso o se lo avete già visto tutto in tre giorni (come hanno fatto loro) e state fremendo per la nuova serie sul caso Versace, beccatevi questi 10 motivi per amarlo.



1. La scelta del caso giudiziario. Il caso O. J. Simpson è oggettivamente irrisolto. Permette di farci una nostra idea su come potrebbe essere andato l’omicidio. Inoltre tocca temi tuttora di grande interesse sociale, come la discriminazione razziale e la violenza domestica.

2. Non ci sono personaggi solo positivi o solo negativi, è una rappresentazione neutra degli avvenimenti del processo.

3. I movimenti di macchina sono un elemento forte della serie, ruotano, zoomano sugli attori, abbiamo soggettive e oggettive. Siamo gli occhi della giuria, dei giornalisti ma anche quella delle telecamere Tv… Chapeau!

4. I Kardashan. Se vi siete chiesti “ma perché i Kardashan sono così famosi?” con Il caso O.J Simpson lo scoprirete! Anzi, saprete anche come erano prima di diventare i più snob del mondo.

5. Gli anni '90. Dopo il grande ritorno degli '80 con Stranger Things, si torna anche negli anni '90, in cui tutte amavamo Dylan anche se aveva messo le corna a Brenda… Se avete la nostalgia degli ultimi momenti di gloria delle spalline e delle cravatte dalle fantasie sgargianti le ritroverete nelle aule di tribunale di questa serie.

6. Rimanendo in tema del vintage, riscopriamo gli anni in cui non esistevano i social. I fatti dei vip (e soprattutto dei Kardashan) li dovevi andare a cercare dal giornalaio, o in Tv.

7. Il grande ritorno di David Schwimmer, l’indimenticato Ross di Friends. Lo vediamo nei panni del buon Rob Kardashan, ma pensiamo sempre a lui e Rachel al central perks. Il suo personaggio è forse la vera vittima di tutta la serie.

8. C’è anche il ritorno di John Travolta, ci era mancato… non balla e non canta però; interpreta l’avvocato dei vip e passa gran parte della serie a litigare con i suoi colleghi.

9. Cuba Gooding Jr. ci regala una bellissima interpretazione del protagonista, l’ex giocatore di Football O. J. Simpson.

10. Menzione speciale per la produzione che comprende Ryan Murphy, il creatore di Glee, e anche John Travolta.

giovedì 18 gennaio 2018

Noi siamo tutto. Il titolo sembra una presa in giro.

Di film brutti, ne ho visti tanti, ma come questo, nessuno. E’ un’offesa al giovane pubblico. Sul serio, pieno di banalità, ne ha così tante che non so neppure da dove iniziare. Il film (regia di Stella Meghie) è tratto dal libro omonimo di Nicola Yoon.
Allora Madeline (Amandla Stenberg), detta Maddy, ha una malattia: immuno skin, non può uscire o entrare in contatto con persone che prima non siano sterilizzate, oggetti sterilizzati, perché se entra in contatto con un virus il suo sistema immunitario non saprebbe sconfiggerlo e anche con un banalissimo raffreddore potrebbe lasciarci le penne.
Non si sa per quale strano motivo (forse per via dei coloranti, tossici anch’essi) deve indossare magliette bianche di cotone, poi in realtà nel film mette altre cose colorate: e allora perché dirlo? Si poteva anche sorvolare sulla questione colore o non colore. Eh no, perché Maddy “incontra” il suo nuovo vicino di casa, Olly (Nick Robinson), che guarda caso veste sempre di nero. Ma che contrapposizione intelligente, caspita! I due si osservano da lontano, spero non troppo, perché altrimenti scatta la fantascienza e la vista bionica.
Olly e la sorella vanno a citofonare a casa di Madeline per portare un ciambellone, gentilmente offerto dalla madre dei due, per scusarsi del loro arrivo. Qui ti fanno capire, furbacchioni “siamo dei cattivelli vicini”. Oh mamma mia, che ribelli e che spavento. La madre psicopatica di lei (Anika Noni Rose) rifiuta il ciambellone e per giorni lui alla finestra fa fare delle cose assurde a sto dolce. E lei ride. Poi finalmente decidono di scambiarsi il numero. Ragazzi: siamo nel 2017, abbiamo più social che aria. Aggiungo una piccola cosa, prima di proseguire, per i primi sei minuti di film, parla solo lei, i suoi pensieri scorrono per 6 interminabili minuti.


Nel momento in cui i due Romeo e Giulietta iniziano a mandarsi i messaggini della conoscenza (nel momento in cui è scattato il paragone con i due amanti di Verona, monumenti dedicati a William si stanno sgretolando), veniamo catapultati nella fantasia di lei, sono in un bar che conversano, adesso, non so se la conversazione sia fredda per cercare di replicare il gelo del dispaly. Fatto sta che, questa conoscenza è sconnessa e insensata. Ho deciso di estrapolare alcuni passaggi che mi hanno lasciato particolarmente allibita: Maddy chiede al povero malcapitato “hai presente il film Stregata dalla luna?”, lui risponde no. Allora a quel punto, una persona normale o gli racconta brevemente il film, oppure cerca comunque di ricollegarlo a quello che ha detto, non gli vai di certo a citare una battuta del film, se non l’ha visto che gliela dici a fare? E poi si stupisce perché lui non riesce a cogliere il senso.
Ma ad un certo punto, scatta la celebrazione dell’ovvio. Lui, per vivacizzare la conversazione e dare un ritmo più incalzante alla conoscenza dice “Facciamo un gioco”. Gioco, dovrebbe essere divertente. Devono citare alcune cose per descriversi, le prime due sono: libro preferito e una parola che ti rappresenta, Olly spedito risponde “Il signore delle mosche, macabro…”. Lei cerca di fare l’intellettualoide per atteggiarsi e dice “Il signore delle mosche? Ah lugubre!”. Ti prego, sono appena trascorsi 15 minuti e ne abbiamo già combinate così tante.
Adesso, non dirò che formalmente ed esteticamente è brutto, è abbastanza nella norma, ci sono alcune cose poco a fuoco, però tutto sommato, possiamo passarlo. Non abbiamo grosse aspettative da quel punto di vista. Questo film è brutto soprattutto nei dialoghi e come si sviluppa la storia, per questo motivo è veramente orribile. Però dai, andiamo avanti, manca ancora un ‘ora e un quarto, può sempre migliorare.  Ma quando mai!
Il loro amore è avvincente come una gara di carrelli del vecchietto di Amazon. È un film imbarazzante! C'è più pathos in una puntata de il segreto che in questo film.
La madre è una psicopatica (l’avevo già detto, ma è meglio ridirlo), ha perso marito e il fratello di Maddy in un incidente d'auto. E Olly? Chi è, come vive questo rapporto? Perché non ha nessuna espressione, ma qualsiasi cosa gli venga detta fa un sorriso da ebete.  Non si sa! Poi uno slancio: i due partono alle Hawaii per una fuga d’amore. Ecco risulta pesante anche la parte più spensierata, il vuoto dei dialoghi viene riempito con delle musiche, anch'esse poco azzeccate, magari qualcosa di allegro pop o una bella ballata strappalacrime. Piatto.” Io ti amo”, dice lui. “Io ti amavo ancora prima di conoscerti”, risponde lei …e a quel punto ti cade tutto, o meglio cade anche quell’ultima cosa che fino a quel momento, non si sa per quale assurdo motivo, era rimasta su.  Gli innamorati in vacanza entrano nel letto e scoprono l’intimità, hanno il loro primo rapporto. Intuisco che sta per arrivare il momento clou del rapporto, perché così, inutilmente viene inquadrato l’oceano (il tutto per mezzo secondo) un'onda s'infrange sulla battigia. Si poteva usare metafora peggiore: si può? Davvero? Neppure il film più trash arriva a tanto. A sto punto potevano citare Scary movie! Lei al risveglio si guarda allo specchio e si sente donna. Donna con sensi di colpa. Ma no, si sta per sentire male, finalmente e a quel punto pensi: “dai che sta per morire e almeno diamo una bella defibrillata allo scorrimento narrativo”. Non vado oltre, se avrete modo e pazienza di scoprirlo, sono con voi, con il pensiero.

Guardatelo, se avete voglia di sentirvi immortali per un po’, perché questo film ha la capacità di dilatare il tempo, i minuti scorrono, ma sembrano essere ore. Ti offre la possibilità di vivere 1 ora e mezza in eterno! E’ tutto. E’ proprio tutto! Ah no, se volete, esiste anche il romanzo, magari quello è meglio!

lunedì 15 gennaio 2018

Gabriele Muccino Made in Italy - Come te nessuno mai

Come te nessuno mai è il secondo film realizzato da Gabriele Muccino nel 1999. Il film è un po’ uno specchio, tra i genitori e i figli.



Ambientato a Roma alla fine degli anni ’90, il film parte da un liceo, si decide di occupare; le ragioni sono poco chiare e ripetute a slogan “Contro questo sistema che ci vuole omologare”. L’occupazione finisce presto, dopo meno di 24 ore, i motivi sono poco reali, poco pratici. In questi giorni tumultuosi si svolge la vita di Silvio (Silvio Muccino, fratello del regista) e del suo amico Ponzi (Giuseppe Sanfelice). Silvio è innamorato di Valentina (Giulia Carmignani), la fidanzata del suo amico Martino (Simone Pagani), ma quest’ultima, durante l’occupazione, confessa a Silvio che i due sono in crisi.

Inizia il dramma: Silvio ci prova con Valentina, racconta tutto all’amico Ponzi, che in maniera ingenua e goffa lo fa sapere a tutta la scuola e ovviamente a Martino. In tutto questo, brevissimo triangolo amoroso (il tutto non dura più di un “mezzo bacio”, Valentina molla subito tutti e due per andare durante la notte con un altro), s’inserisce la dolce Claudia (Giulia Steigerwalt), amica di Valentina, “tradita” dall’amica, perché bacia il ragazzo che le piace. Come non sentirsi Claudia? Io mi sono sentita spesso Claudia, senza il lieto fine però.

Oltre ai conflitti sentimentali, nel film vi è il conflitto tra genitori e figli, un conflitto generazionale che vuole emulare quello creatosi nel ’68, fallendo miseramente, non il film, ma il conflitto.

Il film, secondo un mio personale punto di vista, è il primo di una trilogia sulla realtà romana, si parte dall’adolescenza, con L’ultimo bacio abbiamo i trentenni e con Ricordati di me abbiamo la crisi di mezza età. Ho come l’impressione che idealmente vengano seguiti negli anni Silvio e Claudia, adolescenti, poi adulti e infine nella maturità e nel misero, ennesimo fallimento famigliare.

È il mio film preferito di Muccino ed in generale rientrerebbe in una mia ipotetica lista de “I miei preferiti”, lo è perché all’epoca della sua uscita io avevo più o meno l’età dei protagonisti, vivevo immersa nel mito del ’68, partecipavo alle manifestazioni, e anche nell’abbigliamento ero un po’ come i protagonisti, era un film che mi parlava, mi raccontava, rappresentava l’adolescente italiano, potevo riconoscermi in qualcosa che non fosse americano.

Il film è nettamente superiore rispetto al precedente, Ecco fatto, diciamo che è una versione più raffinata del primo, i personaggi diventano più elaborati, gli attori sono più bravi, il linguaggio è molto più chiaro e preciso e si sbraita meno.

Sarò un po’ di parte, ma secondo me è il più riuscito.

venerdì 5 gennaio 2018

Gabriele Muccino: Made in Italy! - Ecco fatto

Il 14 febbraio, dopo una parentesi americana, ritorna in Italia Gabriele Muccino con A casa tutti bene (in realtà era già tornato con Baciami Ancora e parzialmente con L’estate addosso). Per questo ho deciso di fare un breve ripasso del primo Muccino, quello del turbamento emotivo, dei sentimenti urlati, dei tradimenti, delle corse infinite verso l’amore.

Partiamo con Ecco Fatto il suo primissimo lungometraggio, uscito nel 1998.

Al centro di questo film c’è uno dei temi più presenti nei film di Muccino, il tradimento. In particolare in Ecco fatto c’è come un focus sulla gelosia.

Il protagonista è Matteo (Giorgio Pasotti), che nella lavanderia dove lavora con l’amico Piterone (Claudio Santamaria) racconta ad alcuni clienti la sua esperienza in fatto di gelosia. Nella lavanderia inizia così uno scambio di opinioni tra i due ragazzi e i vari clienti.

Matteo racconta di quando, ancora liceale, s’innamora di Margherita (Barbora Bobulova), tre anni più grande di lui, straniera, in un periodo in cui l’Italia era molto meno “cosmopolita” di oggi (è importante sottolinearlo, non perché lo voglia io, ma perché nello stesso film viene sottolineata questa cosa).  “Lei è diversa, è straniera, ha una cultura differente”, il fatto che Margherita sia “diversa”, fa sì che sia emancipata: lavora, ha un appartamento esce con gli amici e non vuole rendere conto a Matteo, Il tipico ragazzo italiano, che invece di farsi complice in questa relazione, diventa quasi un padre.

Matteo nella coppia parte “svantaggiato”: è più giovane, geloso, studia al liceo, vive con il padre, i suoi sono divorziati, la madre li ha lasciati perché il marito la soffocava. Matteo non potrà che essere un ragazzo con un forte complesso d’inferiorità e di conseguenza ossessivamente geloso, di Margherita. I due nel bel mezzo di questa passione decidono di andare a vivere assieme; Matteo non lascerà la scuola ed inizierà a lavorare? no, lui andrà a vivere con lei e si farà mantenere dal padre.

A Muccino il tradimento, la gelosia piacciono. C’è qualcosa di nuovo in questo film, che prima non c’era nel cinema italiano? No, nulla di nuovo, però fare un film di un’ora e mezza sulla gelosia, l’ossessione, l’inganno ed il tradimento, in modo banale e far rimanere il film tutto sommato godibile, possiamo dirlo: è stato bravo.

Questo film, a differenza degli altri tre di cui parlerò, l’ho visto solo due volte, più di dieci anni fa ed oggi. La regia è abbastanza banale, i dialoghi sono alquanto ripetitivi (e simili anche ai film successivi), le dinamiche saranno le stesse che verranno sviluppate negli altri film, con quasi tutti gli stessi attori, con la differenza che nel tempo gli attori sono migliorati, il budget a sua disposizione è aumentato e anche l’esperienza del dirigere. Per tutto il resto molti elementi rimarranno uguali.

Veniamo agli attori, quelli che oggi conosciamo ed apprezziamo, recitano in maniera scattosa e in modo troppo scolastico, si esprimono sempre in maniera ansiosa, immersi nella fretta di voler dire troppe cose, troppo profonde in pochissimo tempo, non è il metodo italiano questo, ma quello americano e a noi non riesce benissimo.

La prossima settimana racconterò uno dei miei film italiani preferiti, Come te nessuno mai, credo già possiate immaginare perché mi piace un sacco. Alla prossima! 

P.S.: Io non so se posso dirvelo, però se cercate il film su Youtube, lo trovate e potrete vedere con i vostri occhi, quanto male recitava Pasotti. Tranquillo Giorgino, sei nei nostri cuori adesso, perché sei migliorato! 

giovedì 4 gennaio 2018

Wonder: la gentilezza negli occhi di chi guarda.

Miracolo dei miracoli sono riuscita ad andare a vedere Wonder, ma soprattutto sono riuscita a fare due cose in 2 ore di film: non pensare ai 1000 commenti fantastici letti in questi giorni e non paragonare il film al libro, o meglio ai 4 libri.


Per chi ancora non lo sapesse A Wonder story è una collana composta da 4 libri; il primo libro è dedicato ad Auggie, poi c’è il libro di Cristopher (assente nel film), Julian e Charlotte. Speriamo che R. J. Palacio (l’autrice) decida di scrivere altri libri usando anche i punti di vista di altri personaggi.

Wonder ruota attorno al primo personaggio, August (Auggie) Pullman (interpretato da Jacob Tremblay) un bambino con una grave deformazione facciale, la scuola, la famiglia, gli amici, i nemici tutto quello che riguarda un bambino di 10 anni, però amplificato dagli sguardi altrui ( “Se ti fissano, lasciali fissare. Se sei nato per emergere non puoi passare inosservato”), dalle paure degli altri.

A Wonder story è un piccolo mondo e lo è anche il film che, lo ammetto, mi è piaciuto un sacco. Poi ragazzi: c’è Julia Roberts!

Ma andiamo con ordine, Auggie dopo aver studiato in casa con la mamma Isabel (Julia Roberts), viene iscritto in prima media. Già le medie sono traumatizzati, aggiungiamoci il fatto che il bambino ha subito 27 operazioni e si vergogna di se stesso e il drammone è servito.

Auggie viene descritto come un ragazzino normale e straordinario allo stesso tempo ed è per questo che in alcuni punti mi stava antipatico. Sì in realtà simpatizzavo con Via (Izabela Vidovic), la sorella maggiore, messa in po’ da parte dai genitori per supportare il bambino. Auggie fa i capricci, ma se ci pensiamo quale bambino di 10 anni non fa capricci e non vorrebbe essere al centro di tutto? Tutti, e i bambini che fanno così non sono mai tanto simpatici, così pure Auggie non mi piaceva molto in quei momenti e sono contenta di questo. Però, non puoi non affezionarti a questo piccolo astronauta: è intelligente, tenero, dolce rispecchia esattamente l’insegnamento che gli viene dato dalla sua famiglia, ha dei genitori meravigliosi, un ambiente familiare sano, genuino, protettivo, ma non troppo, il fatto che cerchino di mandarlo a scuola con gli altri “diabolici” ragazzini la dice lunga. La vita ha già portato via troppe cose ad Auggie, loro non possono impedirgli il resto.

Tutto il film ruota attorno alla famiglia di Auggie (nel libro ci sono molti più punti di vista) e agli affetti a loro più cari. Noi ci sentiamo parte di quella famiglia (come non si può non farne parte?).

All’opposto abbiamo la famiglia del bullo fighetto Julian, come può il povero Julian essere una brava persona se gli è capitata una famiglia straricca e superficiale? L’immagine ed essere al centro dell’attenzione per la sua famiglia è tutto. Dai libri invece emerge un Julian pieno di paure, insicuro, verrà salvato dalla nonna, tutte le nonne nei libri sono dei salvagenti. Dal film tutto questo non esce, siccome Julian è un bullo ma pieno di turbe, ci tenevo a dirvelo. Però anche lui nel film si redime, ecco, questo in maniera abbastanza sbrigativa. 

Veniamo alla relazione tra Auggie e sua madre; già accennavo di come tutta la famiglia cerchi di rendere la sua vita normale, di proteggerlo, ma non troppo. Tra lui e la madre vi è un rapporto simbiotico, quando Auggie diventa indipendente e vive l’esperienza scolastica in maniera serena, la madre inizia a prendersi cura di se stessa, termina gli studi, si fa via via più giovanile (notavamo, io e le mie compagne di cinema, che all’inizio del film Julia sembra sua nonna, di Julia, s’intende), riesce a passare una serata romantica con il marito (Owen Wilson).

Che dire, guardatelo, fatelo guardare, mostrate questo film a scuola, non perché i vostri figli imparino ad essere gentili (dovreste averglielo già insegnato ai vostri figli), ma perché sappiano quanto importante è essere diversi, essere orgogliosi di questa diversità ed originalità.

Voglio salutarvi citando il primo precetto che viene letto in classe da Summer (Millie Davids, il mio personaggio preferito in assoluto) “Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile” e, voi, cosa scegliereste?